Il rafforzamento delle funzioni amministrative per lo sviluppo


Questo articolo è tratto dal capitolo “PNRR e Coesione” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)


Il territorio è da sempre al centro delle politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo. Negli ultimi decenni, in cui l’evoluzione socioeconomica è stata particolarmente rapida, è apparsa con maggiore evidenza la crescente distanza con l’articolazione istituzionale e amministrativa territoriale. L’impianto dell’amministrazione del territorio è rimasto quello disegnato dal neonato Stato unitario nella seconda metà dell’Ottocento, solo marginalmente scalfito da riforme parziali, spesso di lunga transizione, frequentemente contraddistinte da una timidezza che ne ha frenato gli impeti originari.

La geografia di quel lontano disegno istituzionale non esiste più: già quaranta anni fa, Massimo Severo Giannini descriveva il sistema comunale italiano come polarizzato fra due realtà, tra quelli che chiamava “Comuni polvere” e il crescente fenomeno delle “conurbazioni”, cioè gli aggregati intercomunali di coalescenza, privi di un effettivo livello di governo territoriale. Due sistemi territoriali che già allora impedivano efficaci strutture di governance tanto nel contesto urbano che in quello rurale.

Tale geografia rappresenta un impedimento allo sviluppo dei territori, all’inclusione sociale e alla modernizzazione socioeconomica. A partire dall’eccessiva frammentazione del tessuto comunale: 5.500 Comuni sotto i 5.000 abitanti, con limitatissime capacità amministrative e organizzative, che costituiscono il 70 % del totale delle amministrazioni comunali. Un tessuto istituzionale di base che va ripensato, per progettare istituzioni capaci di effettivo governo locale.

In assenza di organiche proposte di modifica, a questa esigenza di ripensamento dell’assetto istituzionale ha provato a dare risposta il Progetto Italiae del Dipartimento degli Affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, avviato nel 2016 e tuttora operativo, a valere sul Programma operativo nazionale Governance e Capacità istituzionale 2014-2020 dei fondi strutturali europei, e successivamente sul Programma operativo complementare Governance e Capacità istituzionale.

Il Progetto Italiae è un progetto dedicato al riordino istituzionale dei territori, con l’obiettivo di produrre trasformazioni concrete nei diversi ambiti regionali e locali, formulando principi e indirizzi, e producendo materiali operativi, con lo scopo di attivare una dinamica di riordino territoriale, che appare non più rinviabile.

Il Progetto, che nasce come progetto di capacity building, opera nella convinzione che quella del riordino territoriale in Italia sia soprattutto una questione di conoscenze, di diffusione di competenze e saperi, di scelte di fondo e di concettualizzazione di chiari indirizzi alla base di tali scelte, necessariamente differenti nei diversi contesti territoriali, in un Paese complesso dal punto di vista orografico e dell’urbanizzazione.

In questa prospettiva, Italiae intende favorire e orientare trasformazioni concrete, differenziate a seconda dei diversi contesti, avendo di mira l’adeguatezza dei sistemi di governance territoriale e la qualità dei servizi amministrativi, che le istituzioni riorganizzate sono in grado di offrire a cittadini, imprese e attori sociali.

Il progetto opera sul piano di una progressiva disarticolazione e riaggregazione dei livelli di governo esistenti, sviluppata a partire da forti dinamiche di cooperazione intercomunale e interistituzionale (anche in verticale nei confronti della Provincia), basate su volontarietà e orientamento strategico. In altre parole, si cerca di portare i sindaci a confrontarsi fra di loro, per costruire istituzioni intercomunali di cooperazione, non certo fini a sé stesse e men che meno finalizzate a ottenere qualche piccolo risparmio di spesa, ma pensate per garantire adeguatezza delle scelte amministrative (dal consumo di suolo alle infrastrutturazioni, alla funzionalità nell’utilizzo degli spazi, all’efficienza scalare dei servizi).

A questi fini, il Progetto offre ai sindaci servizi che li supportano su due livelli di trasformazione: a livello alto, Italiae supporta l’adozione di efficaci e concrete regole del gioco, nella fase di institution building, rappresentata dalla scrittura dell’atto costitutivo, dalla fase statutaria e di fissazione delle diverse regole di funzionamento delle forme associative.

Su un secondo e più profondo livello, Italiae supporta ambiziosi processi di vero e proprio change management organizzativo e funzionale, finalizzato ad instaurare uffici intercomunali adeguati per metodi di lavoro, quantità e qualità delle risorse umane, copertura delle funzioni core proiettate alle trasformazioni.

L’esperienza del Progetto Italiae testimonia come si avverta diffusamente il bisogno di ambiziosi processi di riordino, e come si riscontri sui territori una crescente fiducia nello strumento dell’associazionismo comunale come soluzione organizzativa per fronteggiare le sfide del governo locale nella modernità.

Va notato come l’associazionismo comunale si muova in un contesto ampio e frastagliato: la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, la dimensione media dei Comuni, molto diversa da Regione a Regione, la diversa conformazione geografica e morfologica dei territori, la distanza dai centri di offerta dei servizi di cittadinanza (sanità, istruzione, mobilità, ecc.), le esperienze associative pregresse e la persistenza di antecedenti istituzioni quali le Comunità Montane.

Il regionalismo ha condotto ad approcci differenti in termini di investimento delle Regioni nell’applicazione dei poteri di riordino e incentivazione determinati dall’art. 33, commi 3 e 4, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL). Ciò in un range ampio tra Regioni che promuovono un processo di riordino delle funzioni comunali tramite l’associazionismo, e Regioni dove la spinta verso soluzioni di associazionismo proviene piuttosto dal basso.

Il Progetto Italiae racconta però che, nonostante queste differenti precondizioni, la diffusione dei processi associativi investe tutte le Regioni, anche laddove queste ultime non hanno stimolato specifici interventi. Ovviamente tali variabili incidono sul livello di strutturazione e maturità delle forme associative, sulla loro dimensione e sul loro livello di efficacia. Ad oggi insistono sul territorio nazionale Unioni molto grandi e molto poco attive e Unioni molto piccole che, investendo su più funzioni, riescono a ridurre i problemi derivanti dalle pochissime risorse a disposizione.

In questo scenario diventa cruciale la policy regionale, capace di scegliere quali soluzioni associative privilegiare, di strutturare un sistema di incentivazione di tipo selettivo e di valutare i risultati ottenuti, rendendo strutturale un processo di sviluppo delle competenze e delle soluzioni gestionali presso le compagini tecniche e amministrative dei Comuni.

Una policy necessariamente inserita in un più ampio concetto di multilevel governance, che coinvolga lo Stato e il livello nazionale, non più come organo regolatore top down ma come attore equiordinato di networking, di scambio di esperienze, di adozione di principi legislativi generali e promozionali, di supporto istituzionale, di capacity building, di uso sensato e orientato della propria funzione di trasferimento di risorse, che deve premiare ambiti di efficienza scalare e di efficacia operativa consolidati, anche a scapito delle idiosincrasie e degli egoismi di campanile.

La leva del rafforzamento delle competenze per il miglioramento delle performance, il tema cruciale della capacity building, della capacità amministrativa delle amministrazioni locali, vanno agiti in modo costante e integrato. Ai processi di incentivazione dell’associazionismo occorre aggiungere politiche attive del personale capaci di rendere di nuovo attraente e interessante un lavoro, quello pubblico, oggi non più competitivo nel mercato.

E ancora, una ricerca sistematica di forti alleanze con il mondo delle professioni, degli interessi, dei saperi, delle capacità di concettualizzazione diffuse nella società, nel mondo della cultura, nella ricerca, partendo dal presupposto che il riordino territoriale sia una concreta necessità del Paese, a cui sono interessati e a cui possono contribuire tutti i diversi tipi di attori sociali. Proprio a questo fine Italiae ha sviluppato nel tempo forti partnership non soltanto istituzionali, ma anche sociali, con tante realtà che hanno deciso di condividere con il Progetto l’indirizzo di fondo, l’orientamento di policy, la spinta istituzionale e gli obiettivi a tendere: dalle Regioni all’Istat, al Consiglio Nazionale degli Architetti, a Confcommercio e Confartigianato, e altri ancora.

L’esperienza di Italiae prefigura una prospettiva in cui la cooperazione, stabile e istituzionale, è una strada non solo per garantire adeguati livelli di servizio, ma anche per sviluppare politiche sociali ed economiche a vantaggio delle comunità territoriali. L’esercizio delle competenze che contraddistinguono la politica di coesione diventa essenziale per tale competizione e per giocare un ruolo di successo nell’oggi e nel futuro delle dinamiche di sviluppo europee e globali.

Sebbene, infatti, la politica di coesione abbia svolto un’azione cruciale nell’affrontare le crisi passate e più recenti, nel contrastare i loro impatti negativi ed evitare l’aggravamento delle asimmetrie, essa resta una politica a lungo termine, di natura trasformativa e con obiettivi strutturali, che presuppongono la medesima prospettiva negli investimenti di competenze e di progettualità a livello territoriale.

Questa è la prospettiva della programmazione settennale dei fondi strutturali, ma anche di quella straordinaria di Next Generation EU e del PNRR, per i periodi 2021-2027 – e 2020-2026 – contribuendo al raggiungimento delle transizioni energetiche e digitali e degli obiettivi si sviluppo sostenibile al 2030 e al 2050.

Nonostante il sostegno della politica di coesione sia attivo ormai da più decenni, diversi territori permangono nelle trappole dello sviluppo, o rischiano di caderci dentro. Ovvero una sfida combinata tra contrazione della forza lavoro e livelli più bassi di istruzione terziaria: trappole che possono essere evitate – anche con il supporto della politica di coesione – se vi è la capacità di definire e attuare solide strategie territoriali. Che certo non possono basarsi su antiche logiche di campanile. L’Italia, in particolare, ha visto crescere il numero delle Regioni in ritardo di sviluppo (PIL pro capite inferiore al 75 % del PIL medio pro capite dell’UE) nel corrente settennio di programmazione rispetto ai periodi precedenti.

Queste Regioni sono caratterizzate da lunghi periodi di crescita lenta o negativa, con una bassa produttività e bassi livelli di creazione di posti di lavoro. II PNRR e la politica di coesione possono essere lo strumento per rilanciare l’economia dei territori, riducendo le disparità e rafforzando il modello di economia sociale: ciò implica l’adozione di un approccio sistemico, facilitando gli ecosistemi territoriali favorevoli alla conoscenza e all’innovazione, con uno sviluppo inclusivo e sostenibile. In tale prospettiva, il territorio deve essere in grado di intercettare le reti internazionali, gli investimenti transfrontalieri, le catene del valore globali. La capacità istituzionale e la governance sono vitali per lo sviluppo.

Costruire istituzioni migliori e potenziare la governance deve essere parte integrante della strategia di crescita del territorio e dell’intero sistema: ciò richiede la responsabilizzazione delle autorità locali e il rafforzamento degli stakeholder, della società civile, dei professionisti e delle assistenze tecniche, nonché una migliore raccolta e analisi dei dati per sostenere un approccio allo sviluppo basato su evidenze concrete.



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