Diversi documenti chiave dell’Unione europea, a partire dal rapporto Draghi e dal Clean Industrial Deal, affermano senza mezzi termini che i fondi pubblici sono fondamentali per la transizione energetica. Non a caso, 73 tra i più importanti capitani d’industria del Vecchio Continente, esponenti dei settori ad alta intensità energetica, nel febbraio 2024 hanno pubblicato la Dichiarazione di Anversa, in cui si sottolineava la necessità di un consistente supporto statale per mitigare i rischi e migliorare l’accesso al capitale per le aziende, stimolando così gli investimenti privati in Europa. Senza questo aiuto dei governi alle grandi imprese, avvertivano, la produttività sarebbe diminuita e la transizione energetica sarebbe stata difficile da raggiungere. Insomma, il concetto è sempre lo stesso: serve denaro dalle casse degli Stati per permettere alle imprese private di intraprendere percorsi virtuosi, nella fattispecie la transizione energetica che dovrebbe mitigare gli effetti della crisi climatica. Gli attori privati, che, come nel caso delle compagnie fossili, sono stati e sono responsabili del surriscaldamento globale, per gli alti papaveri dell’Ue sono i soggetti su cui puntare per risolvere i problemi del Pianeta. Tutte queste richieste accorate, sono state apertamente smentite da uno studio dell’Ong olandese Somo e da Friends of the Earth Europe, dal titolo «Come la grande industria favorisce i profitti rispetto alla transizione energetica».
Il rapporto dipinge un quadro nettamente diverso rispetto a quello presentato dal rapporto Draghi e negli altri documenti dell’Unione europea. Lo fa dopo aver analizzato i dati sulle imprese europee quotate in borsa nei settori chiave della transizione energetica dal 2010 al 2023. In particolare si sono prese in considerazione quattro categorie: materiali di base (come i prodotti chimici e minerari), beni di consumo ciclici (a partire dalle automobili), energia (compresi i combustibili fossili e le fonti rinnovabili) e i servizi di pubblica utilità (elettricità e calore), per un totale di 841 aziende quotate in borsa con sede legale in Europa, compresi Regno Unito e Svizzera.
TUTTE QUESTE AZIENDE, CHIARISCE il rapporto, avevano già un accesso sostanziale al capitale: bastava dare un’attenta lettura ai loro bilanci. Il problema principale non è la mancanza di fondi, quanto una cattiva allocazione delle risorse finanziarie esistenti: queste aziende danno la priorità a ingenti pagamenti agli azionisti invece di investire nelle proprie attività.
NELL’ARCO DI 13 ANNI, l’insieme delle imprese ha generato 49,4 trilioni di euro di vendite combinate, ha realizzato 2,1 trilioni di euro di profitti netti e ha distribuito 1,6 trilioni di euro agli azionisti, pari al 75,3% del totale dei profitti netti totali.
Dopo l’Accordo di Parigi, siglato alla fine del 2015, questa tendenza si è addirittura intensificata: gli utili netti collettivi hanno raggiunto 1.400 miliardi di euro, con 1.100 miliardi di euro distribuiti agli azionisti. I pagamenti agli azionisti (dividendi e riacquisto di azioni) sono aumentati costantemente come quota del fatturato, passando dal 2,4% nel 2010 al 4,4% nel 2023. Allo stesso tempo, le spese in conto capitale, gli investimenti, come percentuale dello stock esistente di attività fisiche (immobili, impianti e attrezzature) sono diminuiti dal 18,4% nel 2010 al 14,9% nel 2023. Sembra quasi lapalissiano, perché parliamo di una pietra angolare della teoria capitalista, ma per le grandi corporation la priorità è assicurare cospicui dividendi ai loro azionisti, il resto non è così «urgente», al di là delle operazioni di greenwashing portate avanti negli ultimi anni.
LE DIECI MAGGIORI IMPRESE per fatturato, «guidate» dall’anglo-olandese Shell, dalla tedesca Volkswagen e dalla britannica BP e tra cui figurano anche le italiane Eni e Stellantis, rappresentano 22,9 trilioni di euro di vendite combinate, pari al 46,4% delle vendite delle 841 società esaminate. Le «prime della classe» hanno realizzato 898 miliardi di profitti netti, distribuendo agli azionisti 611 miliardi di euro. In particolare, alcuni grandi operatori come Eni, Glencore e BP hanno effettuato pagamenti agli azionisti superiori ai loro profitti netti. La stessa Eni, tramite la controllata Versalis, Shell e TotalEnergies hanno appoggiato la Dichiarazione di Anversa. Tra le corporation italiane «in classifica» c’è anche Snam, che con il suo fiorente business di infrastrutture gasiere non è certo in prima fila per una giusta transizione energetica.
«DATO L’ATTUALE CONTESTO POLITICO-economico, caratterizzato dal ritorno delle misure di austerità in diversi Paesi europei e dalla necessità di investimenti pubblici nella politica climatica, negli alloggi a prezzi accessibili e nei trasporti pubblici, sarebbe un errore fornire denaro pubblico incondizionato a queste industrie», ammoniscono gli autori del rapporto, i quali sono certi che se i governi non dovessero seguire i loro consigli finirebbero per aggravare le disuguaglianze, alimentando il malcontento dei cittadini e rafforzando i gruppi di estrema destra.
CONCENTRARSI SULL’AUMENTO dell’accesso al capitale grazie ai fondi pubblici non risolverà i problemi della transizione economica ed energetica dell’Europa. Invece di incentivare gli investimenti privati, questi fondi pubblici saranno semplicemente intascati dagli azionisti. Nell’attuale contesto di crescenti rivalità geopolitiche e di un’escalation della crisi climatica, l’Europa non può permettersi di perdere tempo. Per questo, si legge ancora nell’analisi di Somo e Friends of the Earth Europe, «i politici devono dare priorità agli investimenti pubblici nei settori chiave. Un nuovo regime di politica industriale verde richiederebbe che lo Stato coordini attivamente gli investimenti e si concentri sul raggiungimento di risultati tangibili, piuttosto che operare attraverso il mercato». Spetta dunque ai governi invertire una tendenza che le multinazionali non sembrano per niente volenterose di «modificare».
* ReCommon
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link