I dazi e la guerra commerciale lanciata dagli Stati Uniti


Ormai si può dire che abbiamo imparato, o perlomeno, stiamo imparando, cosa voglia dire la Presidenza Trump per il mondo: svegliarsi la mattina ed essere travolti da notizie sulla quantomeno divisiva propaganda trumpiana. Dalle mire espansionistiche nei territori vicini (Canada, Panama e Groenlandia) e lontani (il pianeta Marte), cambi di nome di aree geografiche, la ritirata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), telefonate con Putin, accordi con “Bibi” Netanyahu per le vacanze a Gaza e guerre commerciali. Come al solito l’Europa brancola nel buio chiedendosi ogni giorno di che morte dovrà morire, ma proprio l’ultimo aspetto citato, quello della probabile imposizione di dazi doganali all’Unione Europea, è uno di quelli che preoccupa più di tutti, poiché si ha la concreta contezza di cosa questo possa effettivamente comportare all’economia dell’Unione: un disastro. Cerchiamo di fare il punto.

Con i “deals”, ovvero gli accordi all’interno di una politica commerciale aggressiva e incentrata all’inserimento di dazi doganali ad alcuni partner commerciali, Trump non sembra tanto mirare a giovamenti economici ma a mettere pressione agli attori internazionali che sono attenzionati perché sospetti di tramare con la Cina. Difatti, le stime dimostrano che i dazi creano perdite di reddito e di posti di lavoro e causano un aumento dei prezzi che si scarica sui consumatori, ma l’idea di Trump è che l’economia americana, essendo enormemente più grande di quella dei vicini Messico e Canada, possa permettersi di affrontare anche le reazioni di questi Paesi, incassando danni marginali in termini di inflazione e di riduzione della crescita. Gli USA, infatti, hanno minacciato una tassa per i suoi primi tre partner commerciali: Messico, Canada e Cina. Nei primi due casi questa tassa è del 25%, ridotta al 10% per il petrolio importato dal Canada e nel caso cinese un ammontare del 10% per le importazioni. I dazi sarebbero una sorta di punizione per Messico e Canada per aver agevolato, secondo l’amministrazione Trump, il traffico di fentanyl e l’immigrazione irregolare all’interno del territorio americano. Dopo qualche “bargaining” e decise risposte dei leader dei due Paesi, si è arrivati all’accordo di sospendere queste tariffe per un periodo di 30 giorni in cambio di un controllo massiccio lungo i due confini da parte dei loro corpi militari. Con al Cina, come sappiamo, la guerra commerciale è iniziata ormai da tempo.

Questa guerra commerciale colpirà anche l’Europa? L’amministrazione americana ha deciso di imporre dazi del 25% sulle importazioni di alluminio e acciaio a partire dal 12 marzo, che colpiranno duramente molte aziende dell’UE. L’UE, di controparte, ha dichiarato che risponderà con contromisure “ferme e proporzionate”. È bene ricordare che l’Unione Europea è una “custom union”, il che si traduce in una armonizzazione delle tariffe esterne e una politica commerciale comune a tutti i suoi 27 Stati membri. Questo per sottolineare il fatto che l’UE tutta sarà colpita dall’eventuale guerra commerciale che gli USA sembrano voler intraprendere, e non esisteranno posizioni di favore.

Per dare un’idea sull’importanza dei rapporti commerciali tra UE e USA: Gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato di destinazione delle esportazioni di merci dell’Unione Europea e il secondo principale fornitore di beni per il mercato europeo. Secondo i dati Eurostat, nel 2023 l’UE ha registrato un avanzo commerciale di 157 miliardi di euro nei rapporti di scambio di merci con gli Stati Uniti. Nel 2022, invece, l’UE si è classificata come secondo mercato di sbocco per le esportazioni di beni statunitensi e come principale fornitore di merci per gli Stati Uniti. Per quanto riguarda il settore dei servizi, gli Stati Uniti sono stati il principale partner commerciale dell’UE sia per l’export che per l’import nel 2023. Allo stesso modo, nel 2022 l’UE è stata il principale interlocutore commerciale degli Stati Uniti per lo scambio di servizi, sia in termini di esportazioni che di importazioni. Tuttavia, nel 2023, l’Unione Europea ha registrato un disavanzo di 109 miliardi di euro nel commercio di servizi con gli Stati Uniti, ovvero ha importato più servizi di quanti ne abbia esportati verso il mercato statunitense.

In un comunicato la Commissione europea ha dichiarato: “L’UE non vede nessuna giustificazione valida per l’imposizione i dazi alle sue esportazioni. Reagiremo per proteggere gli interessi delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”, e ancora: “l’imposizione di dazi sarebbe illegale ed economicamente controproducente, soprattutto se si considerano le catene di produzione profondamente integrate che l’Unione e gli Usa hanno creato attraverso il commercio e gli investimenti transatlantici”. In generale, c’è molto scetticismo, anche perché molti esperti ed analisti hanno la ferma convinzione che questo tipo di misure protezionistiche siano anacronistiche per l’interdipendenza del commercio nel mondo moderno: “Nel mondo moderno, il commercio è interdipendente e molti prodotti e vari componenti di prodotti sono fabbricati in diversi Paesi”, ha dichiarato a Euronews il primo ministro irlandese Micheál Martin. “Come abbiamo appreso durante l’esperienza del Covid-19, fino a 50 Paesi erano coinvolti in diversi componenti di un vaccino, il che illustra l’interdipendenza e la complessità delle catene di approvvigionamento”, ha poi aggiunto Martin. Altri affermano che queste misure sarebbero controproducenti anche per l’economia americana: “L’impatto sugli Stati Uniti è esattamente l’opposto di quello che Trump ha promesso, ovvero di abbassare l’inflazione per migliorare l’economia. E credo che gli europei debbano tenere a mente che Trump non è immune alla gravità politica”, ha dichiarato a Euronews Brett Bruen, presidente della Global Situation Room. “Vuole avere reciprocità. Vuole avere parità con alcuni dei nostri partner commerciali, in particolare nell’Unione Europea. Le cose che hanno infastidito gli americani sono i regolamenti e i dazi su cose come la tecnologia e alcuni altri prodotti americani che ancora incontrano barriere nel mercato europeo”, ha aggiunto Bruen. Un’altra possibilità potrebbe essere che Donald Trump intenda usare la minaccia dei dazi per fare leva, spingendo così gli Stati membri dell’Ue ad aumentare la spesa per la difesa o a ridurre la regolamentazione del settore tecnologico. Se gli Stati Uniti introducessero dazi sui prodotti delle aziende europee, questi ultimi diventerebbero più costosi, rendendone la vendita più difficile. In risposta, l’Unione Europea potrebbe applicare dazi sui prodotti statunitensi, facendo aumentare i loro prezzi per i consumatori europei. Tuttavia, l’impatto delle tariffe non si limiterebbe solo agli scambi tra UE e USA. Se gli Stati Uniti imponessero dazi anche su altri paesi, questi ultimi potrebbero reagire spostando le loro esportazioni verso il mercato europeo. Ciò potrebbe intensificare la concorrenza per le imprese europee, che si troverebbero a competere con prodotti inizialmente destinati agli USA, ma divenuti troppo costosi per quel mercato. Inoltre, un aumento dei dazi potrebbe influire sulle catene di approvvigionamento europee, complicando l’accesso a determinati beni e aumentando i costi per le aziende. L’incertezza generata dalle politiche commerciali restrittive potrebbe spingere molte imprese a rimandare investimenti e decisioni strategiche, con un impatto negativo sulla crescita economica. E invece quali potrebbero essere le conseguenze per l’Italia? Come detto, l’Italia negozia qualsiasi posizione commerciale come Unione Europea e non come singolo stato, per le ragioni su scritte. Per questo, la famosa e caldeggiata simpatia tra Giorgia Meloni e Donald Trump non privilegerebbe di un centesimo l’eventuale imposizione di dazi da parte degli USA. Nel concreto, ogni anno l’Italia esporta negli Stati Uniti beni per circa 70 miliardi di euro Insieme. Oltre all’industria del mobile e a quella alimentare, le esportazioni di alcolici sarebbero tra i principali settori colpiti dai dazi di Trump, dal momento che gli Stati Uniti rimangono il maggior importatore di viticoltura italiana. Inoltre, se la guerra commerciale dovesse entrare nel vivo e l’UE rispondesse con la stessa arma tariffaria, l’Italia vedrebbe un incremento dei listini per tutti i prodotti americani. Come dicevamo, un disastro.





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