Un’unica, robusta iniezione di risorse


Con la legge di bilancio per l’anno 2021 veniva istituito il fondo pluriennale per l’ammodernamento dello strumento militare nazionale. Per la prima volta e con l’obiettivo di tracciare un percorso di avvicinamento al 2% di spese militari stabilito dalla Nato nel 2014, il bilancio della difesa italiano poteva contare su risorse che superassero l’arco temporale della legge di bilancio. Si è trattato di un fatto rilevante, ove si consideri che, precedentemente, i finanziamenti pluriennali per i grandi programmi militari erano definiti con provvedimenti legislativi ad hoc. Quel primo fondo prevedeva 12,35 miliardi di euro distribuiti in 15 anni, dal 2021 al 2035. Tale modalità di finanziamento dei programmi pluriennali di ammodernamento, anche spinta da una situazione internazionale sempre più critica e complessa, è sempre stata riproposta in legge di bilancio e l’anno 2025 vede operanti 5 fondi con orizzonte fino all’anno 2039 e con un importo complessivo di 85,5 miliardi di euro, cui si aggiungono altri 22 miliardi attribuiti al Ministero delle Imprese e del Made in Italy tra il 2022 ed il 2039. Sono 107 miliardi e mezzo, che hanno permesso di portare l’investimento complessivamente destinato allo strumento militare nazionale dai 5,7 miliardi del 2020 (ultimo anno prima del fondo difesa) ai circa 12,4 del 2025, con un incremento del 117% in cinque anni. Se il fondo per gli investimenti della difesa ha, senza dubbio, rappresentato un importante passo avanti nella programmazione militare, il crescente livello di crisi sullo scenario internazionale, la complessità dello strumento militare in grado di svolgere operazioni multidominio, l’avvento di tecnologie cosiddette “dirompenti” e il ritardo accumulato in anni di sottofinanziamento della Difesa, chiedono di compiere ulteriori e importanti passi nella direzione di dare certezza e profondità programmatica alle risorse finanziarie e di snellire le procedure parlamentari e tecnico-amministrative per l’impiego delle medesime risorse.

Acquisti militari tra semplificazione, resilienza e controllo efficace

Su questo secondo aspetto, una semplificazione delle procedure servirebbe, da un lato, a ridurre i tempi e, dall’altro, a garantire la certezza delle catene approvvigionative e l’omogeneità dei materiali, specie quelli non d’armamento. I militari sanno sulla loro pelle che il vestiario tattico, ad esempio, è importante come un sistema d’arma. Oggi, per ogni contratto destinato negli anni ad acquisire un medesimo tipo di equipaggiamento, si rischia di avere una diversa ditta aggiudicatrice, magari anche appartenente a differenti nazioni europee, con problemi nella gestione delle diverse forniture. Applicare tout court le regole della concorrenza agli acquisti delle Forze Armate non dà sempre il risultato atteso. È poi necessario che le produzioni restino in Italia, non per protezionismo, ma per dare sostanza al concetto di resilienza. Si può e si deve acquistare da un’impresa estera, se il suo prodotto è migliore, ma questa deve impegnarsi a produrre in Italia. Un caso reale è il programma A2CS per l’Esercito. In molte nazioni questa è già la regola; le aziende lo sanno e si attrezzano.

Per rendere più veloce ed efficace il controllo del Parlamento, una possibile strada potrebbe essere quella di dare valore autorizzativo, ai sensi dell’art. 536 del Codice Ordinamentale, al Documento Programmatico Pluriennale, che deve essere presentato al Parlamento entro il 30 aprile di ogni anno. Tale documento contiene tutti i programmi di previsto avvio nell’anno di riferimento, collocandoli all’interno di un quadro strategico e programmatico puntualmente descritto. Presentato entro la prevista scadenza e mantenendo i 30 giorni che oggi la legge concede alle Commissioni competenti per esprimersi, significa avere il via libera a fine maggio. Sarebbe un risultato di non poco conto rispetto a quanto avviene oggi.

Sulla certezza delle risorse, va tenuto presente che la complessità del quadro precedentemente descritto richiede di avviare e sostenere nel tempo un elevato numero di programmi, con conseguente parcellizzazione delle risorse, che non riescono, quindi, a soddisfare tutte le esigenze. Solo per avere un’idea, il Documento Programmatico del 2024 ha indicato l’avvio di 20 nuovi programmi e il rifinanziamento di 70 dei 221 già operanti. Questo provoca un’inaccettabile dilatazione dei tempi di conclusione dei programmi, ripartiti su più contratti successivi, e un inevitabile incremento dei prezzi

L’iniezione strategica per stabilità e investimenti della Difesa

Ciò che serve per superare questa situazione è un’unica, robusta iniezione di risorse, simile a quella adottata dalla Germania, con i noti 100 miliardi di euro stanziati dal cancelliere Scholz nel 2022, ovvero come quella più volte proposta dal ministro Crosetto: dare al fondo della difesa dimensione tripla proponendolo, però, ogni tre anni. È una soluzione che, a parità complessiva di risorse, triplicherebbe la dimensione di ciascun singolo contratto, dando maggiore certezza agli investimenti industriali, stabilità alle catene di approvvigionamento della componentistica (spesso il vero tallone d’Achille dei programmi con forte connotazione tecnologica) e l’opportunità di diluire i cosiddetti costi non ricorrenti. Una soluzione semplice e vincente, ma che attualmente non può essere adottata per i vincoli di bilancio previsti dal Patto di Stabilità europeo. L’allentamento di tali vincoli, da tempo richiesto dal nostro Paese e come fatto per la spesa sanitaria durante la pandemia, potrebbe consentire una svolta, ma solo un cambiamento strutturale potrebbe assicurarne la necessaria stabilità nel tempo.



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