«Ci sentiamo come dentro un tornado. Ma viviamo questa fase anche come una grande opportunità. Per il nostro settore è il momento di dimostrare che possiamo confrontarci con dinamiche di mercato e traghettare questa industria verso un modello che possa garantire profitti, valore, dividendi, come fanno tutte le altre imprese che partecipano al mercato dei capitali».
Per Alessandro Ercolani, amministratore delegato della tedesca Rheinmetall in Italia, il ruolo di star dei mercati è decisamente inusuale. Sei mesi fa il titolo del gruppo valeva poco meno di 500 euro per azione. Ora oltre 1.100, con un rialzo a tre cifre. Con un comparto, che finora era rimasto laterale rispetto alle dinamiche economiche e di Borsa, e che è finito improvvisamente al centro delle politiche europee. Intervistato da Class Cnbc, Ercolani non si sottrae alla sfida.
Domanda. Sente un po’ il peso delle aspettative?
Risposta. Diciamo che ci sentiamo come in una tempesta e stiamo toccando degli obiettivi inimmaginabili, ma ora quello che dobbiamo fare è concentrarci sull’execution. Il nostro scopo è mantenere gli impegni che stiamo prendendo con l’Europa e con i nostri clienti.
D. Cominciamo dagli investitori. Un’attenzione così alta da parte dei mercati è nuova. E non siete un comparto che tutti gli altri.
R. Proprio per questo si tratta di un’opportunità enorme per trasformare il settore. Vogliamo essere considerati alla stregua di tutte le industrie aggressive e competitive che si confrontano con dinamiche di mercato. Quindi ben venga questo approccio da parte degli investitori.
D. Non solo i mercati: l’intera Europa è pronta a investire miliardi su di voi. Sta scegliendo il metodo corretto?
R. Strumenti come Eurobond sono un buon punto di partenza. Ma senza una cabina di regia si torna a partizioni poco efficaci. Se gli 800 miliardi annunciati vengono divisi tra i vari Stati non otterremo il risultato che serve.
D. Che cosa ci vuole invece?
R. Un’unica cabina di regia, soprattutto per gli acquisti. Così come fa la Nato, ad esempio. E serve costruire un’architettura che decida come spendere i soldi. È il concetto di una Difesa europea, invece di un’Europa della Difesa.
D. Si ripete spesso, ma in Europa manca solo questo? Ormai la Difesa è largamente tecnologica, e serve anche un indotto innovativo.
R. Serve sicuramente fare di più, in Europa e in Italia, per stringere dei patti tra innovazione, industria e università. Noi stiamo facendo delle analisi per capire chi sono i nuovi competitor di questo settore. Ci sono società nate tre anni fa che già riescono a raccogliere molti soldi sul mercato dei capitali. Funziona il modello delle start up che crescono velocemente.
D. Alcuni analisti sono scettici sulla vostra capacità di risposta: si dice che stiate promettendo tempi troppo brevi per voi.
R. È giusto che ci siano questa critiche, ma la sfida delle società è proprio quella di saper organizzare un modello di business in grado di soddisfare questi tempi. Ormai non lavoriamo più con il cosiddetto «just in time», ma facciamo magazzino.
D. E in Italia? Siete partner di Leonardo per una commessa che si prevede da 23 miliardi. Quali sono i tempi?
R. L’annuncio è di qualche mese fa, ma la società ufficiale è nata da una settimana. L’accordo prevede la produzione di due carri, uno più pesante, l’altro più leggero. Entrambi i contratti li prevediamo per quest’anno, e stiamo lavorando con l’Italia per preparare la struttura per soddisfare questa esigenza. (riproduzione riservata)
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