Ci sono novità per il mondo dell’innovazione. A partire dai requisiti necessari per il riconoscimento di incubatori e acceleratori di Startup innovative (pubblicati il 22 gennaio scorso in Gazzetta Ufficiale con decreto ministeriale del 20 dicembre 2024).
Incubatori e acceleratori
Ma che cosa sono gli incubatori? Entità che supportano le Startup seguendole dall’idea iniziale all’ingresso sul Mercato, incidendo soprattutto sulla fase embrionale dell’impresa. I percorsi di incubazione, per questo motivo, hanno una durata che va da pochi mesi fino a diversi anni. Offrono un ventaglio di servizi tra cui le imprese possono usufruire, dalla consulenza specialistica alla definizione del modello di business, fino agli spazi fisici e strumenti di lavoro.
Quanto al nuovo provvedimento, dispone il riconoscimento come incubatori certificati di Startup innovative «le società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residenti in Italia» che «offrono anche in modo non esclusivo servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di startup innovative».
Gli acceleratori d’impresa, invece, supportano le Startup già formate e avviate. In questo caso, si agevola la crescita della nuova impresa affinché questa possa scalare il Mercato con due modalità sinergiche: da un lato, un team di esperti fornisce servizi di accelerazione, solitamente per periodi di durata limitata da uno a sei mesi. Dall’altro lato, si punta sul fundraising; quindi, si va alla ricerca di investimenti finanziari a opera di soggetti esterni, con cessione di parte delle quote societarie. A tal proposito, il decreto riconosce come tali «gli incubatori che svolgono in via esclusiva attività di supporto e accelerazione di Startup innovative, iscritti nella sezione speciale del registro delle imprese».
La presenza di incubatori e acceleratori in Italia
In Italia ci sono 66 incubatori certificati (fonte: Registro delle Imprese delle Camere di Commercio). La maggioranza, 13, risiede in Lombardia. Segue la Campania con 9. Sono 6 nel Lazio, 5 in Veneto e Piemonte (fonte: InfoCamere).
«Oltre agli Startup Studio (o Venture Builder), anche gli acceleratori svolgono un ruolo centrale per consentire alle Startup di entrare nel Mercato del Venture Capital, insieme agli incubatori. Sono degli organismi autorizzati che offrono servizi alle società incubate/accelerate a un costo competitivo, dando supporto nelle fasi iniziali. Il valore aggiunto, quindi, non è solo nell’investimento in capitali che fanno, che non è particolarmente dirimente, ma anche nei servizi che offrono e nel network che mettono a disposizione», dice Lucia Occhiuto, avvocato e Founding Partner di Occhiuto Legal.
Qual è l’approccio migliore da adottare per inserire una nuova impresa sul Mercato?
«È necessario puntare su una società di capitali, non di persone. In questo aiuta il modello dello Startup Studio (o Venture Builder), che non è altro che una “fabbrica” di Startup. Partendo dall’analisi dei need di Mercato, si sviluppa un progetto di prodotto che risponde a quella domanda, mettendo insieme anche il team, tra founders e personale, al servizio di tale progetto. Così nasce una Startup a basso rischio e altamente scalabile».
Quali sono le principali forme di accesso al credito?
«Una Startup può avere diverse opzioni, così come può decidere di non avere credito e provare ad avviare il business con un capitale iniziale ridotto e le risorse che essa stessa genera, secondo il modello del bootstrapping. In questo caso, non si vanno a cercare risorse da terzi, ma si generano ricavi attraverso i clienti paganti. Ci sono poi società che non applicano questo modello, ma preferiscono una crescita Venture backed, quindi si affacciano al Mercato dei capitali. Qui ci possono essere varie alternative: la raccolta dal pubblico con campagne di crowdfunding, da investitori istituzionali o da Business Angel, che non sono altro che famiglia e amici.
Al ricorrere di determinate condizioni, come l’esistenza di un prodotto/servizio validato, che cioè ha già ottenuto feedback positivi di Mercato, la scalabilità del prodotto, la traction – che consiste nell’avere già clienti paganti e preferibilmente ricorrenti – oltre ad avere già un progetto di pianificazione finanziaria, un business plan in crescita e realizzabile, la società può affacciarsi anche al Mercato del Venture Capital, e precisamente ai round Early Stage, Pre-Seed o Seed. Oltre un determinato ammontare di ricavi ricorrenti, poi, ci si può affacciare a round series A, B o C. In queste fasi, generalmente, la società è valutata sulla base dei ricavi ricorrenti che genera (Annual Recurring Revenue), che sono segnale di traction e scalabilità del prodotto. Il nome del round non è legato all’ammontare della raccolta, ma alla fase di crescita in cui la Startup si trova».
«Il dato di fatto è che si tratta di un settore in crescita, favorito anche dall’allentamento della politica monetaria europea e dal fatto che, essendo successivo a un periodo – il 2023 – caratterizzato da stallo o de-crescita, è più facile parlare di sviluppo. Non siamo ancora ai numeri di fine 2021 e del 2022, dove però il Paese proveniva dalla fase pandemica e a un eccessivo allentamento della politica monetaria (con i tassi azzerati e negativi) che aveva favorito gli investimenti. Però ci sono segnali di avvicinamento a quei dati. Il Mercato italiano inizia ad attrarre anche investitori dall’estero: ciò conferma l’avvio verso una fase di maturazione anche grazie all’innovazione introdotta dalle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale, del machine learning e del digitale».
Quali sono i settori di spicco per il 2025?
«Continueremo ad avere l’AI come protagonista, a un livello ancora più maturo rispetto al 2024. Si continuerà a lavorarci in maniera più consapevole, più strutturata, conoscendone i limiti, e anche più competitiva. Basti pensare ai diversi modelli di AI e large language models (LLM) che vengono lanciati quasi settimanalmente. Tra gli ultimi, peraltro, sembra abbastanza promettente il primo modello italiano Vitruvian-1, lanciato da ASC27 S.r.l. Sentiremo parlare di Cleantech, dal momento che la transizione energetica è un tema molto attuale e c’è un forte slancio verso questi Mercati da parte dell’Unione Europea e di conseguenza da parte di tutti gli Stati membri. Gli operatori del settore vedono all’orizzonte investimenti indirizzati verso la Cybersecurity e la Space economy. Con una prospettiva di più ampio raggio, probabilmente si potrà continuare a vedere un Mercato in crescita anche per Blockchain e Bitcoin».
A livello normativo, come si posiziona l’Italia rispetto al resto dell’Unione?
«Abbiamo assistito a uno sviluppo crescente del quadro normativo nazionale ed europeo che favorisce lo sviluppo del settore tecnologico e dell’innovazione. Questo sicuramente incoraggia gli investimenti indirizzati a questi Mercati. A livello nazionale abbiamo visto approvare importanti norme alla fine dell’anno scorso. Una parte della manovra finanziaria 2025 era indirizzata al settore digitale e tecnologico, il decreto-legge Concorrenza, che interviene per alleggerire i requisiti che una Startup deve avere per essere considerata innovativa, o la legge Centemero, per incentivare da un punto di vista fiscale gli investimenti privati in Startup e PMI. Il terreno è fertile, insomma, anche se a riguardo si può fare ancora molto e diverse associazioni di categoria tra Milano e Roma, così come gli operatori del settore, si impegnano in prima linea in questa direzione».
C’è stata forte preoccupazione anche per la web tax. Di cosa si tratta?
«La web tax è sempre esistita. Per un momento si è rischiato che colpisse ad ampio raggio il settore tecnologico, ma per fortuna non è andata così, proprio con il testo finale della legge finanziaria di cui si parlava prima. È nata come tassazione per colpire chi genera ricavi da piattaforme online di comunicazione e di interconnessione di utenti, ad esempio Meta. Fondamentalmente era indirizzata a chi produce ricavi da pubblicità digitale su siti e social network, dall’accesso alle piattaforme digitali e dalla trasmissione di dati presi dagli utenti.
La norma è nata per colpire le grandi multinazionali della pubblicità e della comunicazione che, non avendo sede fiscale in Italia, rischiavano di passare “inosservate” per l’Autorità fiscale italiana, pur generando in Italia un fatturato non irrilevante. L’aliquota è del 3%. Con la Legge di Bilancio 2025, questa tassazione è stata estesa a chiunque genera ricavi da servizi digitali, pur dovendosi però trattare di aziende con un fatturato globale (ovunque nel mondo) di almeno 750 milioni di euro. Per un momento, questa soglia dei 750 milioni era sparita e quindi l’intero sistema digitale italiano ha corso un alto rischio fiscale. Ma nella versione definitiva della norma la soglia è presente».
A livello europeo, invece?
«Un progetto normativo di cui si parla tanto è quello del cosiddetto 28esimo regime, una proposta di regime fiscale per le imprese alternativo a quello dei 27 degli Stati dell’Unione Europea. In pratica, una Startup potenzialmente potrebbe sottrarsi alla normativa nazionale per essere regolata dalla normativa del 28esimo regime, che dovrebbe essere improntata a principi incentivanti e meno burocratizzati. Dal punto di vista giuridico, è tutt’altro che facile arrivare a questo risultato, perché l’intersecazione tra le norme nazionali e quelle del regime europeo è molto complicata. Limitandoci allo storytelling, è un progetto vantaggioso che veramente potrebbe essere un game changer per il settore. Metterlo a terra, chiaramente, comporta un gran lavoro».
Come cambiano le prospettive, ora che gli USA hanno una nuova amministrazione?
«Si creerà un’elevata competizione. Il fatto che l’America punti maggiormente sulla tecnologia, si tratti di Bitcoin, auto elettriche o Space Economy, non può che andar bene per noi. Questo crea Mercato. Se gli Stati Uniti crescono, questo non può che creare un benchmark più alto che l’Europa e l’Italia vorranno raggiungere. La vedo come una prospettiva positiva, soprattutto perché l’Italia storicamente è sempre stata un passo indietro. Ciò comporterebbe un margine di sviluppo e di crescita elevatissimo. Certo, il tema dei dazi, invece, non è positivo per l’Italia, e in generale per l’Europa. Ma è ancora presto per affrettare conclusioni su questi argomenti».
Quali sono i tasselli mancanti?
«Non bisogna solo puntare a favorire gli investimenti, che pure è fondamentale, o a detassare, o ancora a portare avanti le società e le Startup senza che le perdite di esercizio possano incidere al punto da farle fallire. Questa è la base, lo avevamo ottenuto nel 2012 e continuiamo ad averne la conferma. Bisogna anche investire sulla crescita del valore reale dell’Italia innovativa. Serve investire sulle persone, ridurre il costo del lavoro, la burocrazia, e agire per aumentare i salari e per attrarre i talenti. Serve maggiore fluidità di percorso per le Startup che meritano di crescere. Se manca questo, non saremo competitivi. Non basta avere il Mercato pieno di liquidità, non è solo quello che genera valore. L’Italia ha ancora pochi unicorni, pochi esempi che funzionino da traino e ispirino fiducia».
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📸 Credits: Canva.com
Articolo tratto dal numero del 15 marzo 2025 de il Bollettino. Abbonati!
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