La riforma della geografia giudiziaria, attuata tra il 2013 e il 2014, ha prodotto un effetto rilevante sulla domanda di giustizia e sulla durata dei processi civili in Italia.
La razionalizzazione del sistema, che ha comportato la chiusura di 25 tribunali e di 220 sezioni distaccate con l’accorpamento delle attività nei 140 tribunali rimanenti, ha determinato una significativa riduzione della domanda di giustizia, con un calo medio del 6% per ogni aumento di 5 chilometri nella distanza tra cittadini e tribunali di riferimento.
A livello regionale, la contrazione della domanda è stata più marcata nelle aree caratterizzate da una maggiore distanza media tra i comuni e i tribunali di riferimento.
Nelle regioni meridionali, dove le infrastrutture di collegamento sono meno sviluppate, la riduzione della domanda è stata fino al doppio rispetto alle regioni settentrionali. In Calabria e Sicilia, ad esempio, il calo della domanda di giustizia ha raggiunto picchi del 10%, mentre in Lombardia e Veneto la riduzione è stata contenuta tra il 3% e il 4%.
L’effetto si è concentrato principalmente nei contenziosi di responsabilità extracontrattuale, come le cause per incidenti stradali, e nei diritti di proprietà, come le controversie condominiali. È quanto emerge da una ricerca del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale nessun impatto significativo, invece, è stato registrato per le cause di diritto di famiglia e per le crisi d’impresa, ambiti in cui il ricorso alla giustizia è spesso imposto da vincoli normativi e dalla mancanza di alternative.
L’aumento della distanza dai tribunali ha penalizzato l’accessibilità alla giustizia, con la percentuale di popolazione distante più di 20 chilometri dall’ufficio giudiziario di riferimento passata dal 9% al 21% e quella oltre i 50 chilometri salita dal 3% al 9%. Le regioni più colpite da questo fenomeno sono state quelle caratterizzate da una maggiore frammentazione territoriale pre-riforma, come Calabria, Sicilia e Sardegna.
In Calabria, ad esempio, la distanza media è aumentata di circa il 30%, mentre in Sicilia e Sardegna l’incremento è stato pari rispettivamente al 25% e al 20%. Tuttavia, sul fronte dell’offerta di giustizia, la riforma ha portato benefici tangibili: il numero di procedimenti definiti è aumentato del 5%, mentre il tempo medio di risoluzione dei casi si è ridotto di una percentuale analoga.
Tra il 2010 e il 2019, il disposition time – ossia il tempo stimato per la definizione di un processo – è sceso da 466 a 345 giorni, pari a una flessione del 26%. Nelle regioni settentrionali, la durata media dei procedimenti è scesa di circa il 30%, con punte di riduzione del 35% in Lombardia e del 32% in Veneto. Nelle regioni meridionali, invece, il calo è stato più contenuto, con una riduzione media del 15% in Sicilia e del 18% in Calabria.
La maggiore efficienza dei tribunali di dimensioni più grandi ha avuto un impatto significativo sulle cause più complesse, come i procedimenti di responsabilità extracontrattuale e i fallimenti, dove la durata media si è ridotta di circa il 30%. Al contrario, non sono stati riscontrati effetti significativi sui tempi di definizione delle cause di diritto societario e delle esecuzioni civili. L’incremento della produttività ha riguardato soprattutto le cause più complesse e i tribunali inizialmente meno efficienti, che hanno tratto vantaggio dalle economie di scala e dalla maggiore specializzazione dei giudici. I miglioramenti sono stati più evidenti nei tribunali che hanno accentrato sezioni distaccate, mentre nei tribunali che hanno assorbito altre sedi si sono riscontrate maggiori difficoltà organizzative nella fase di transizione.
La riforma, quindi, ha migliorato la capacità di risposta del sistema giudiziario, ma ha reso più difficile l’accesso alla giustizia per le fasce di popolazione più lontane dai centri urbani e per le cause di minore entità economica. «I miglioramenti emersi in seguito alla riforma della geografia giudiziaria sono un segnale positivo per il sistema economico e produttivo del Paese, ma il lavoro non è ancora finito. Il miglioramento della giustizia civile rappresenta un pezzo fondamentale per il successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), perché un sistema giudiziario efficiente e rapido è essenziale per attrarre investimenti, rafforzare la competitività delle imprese e garantire maggiore certezza del diritto» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
LA RICERCA COMPLETA
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati della Banca d’Italia, la riforma della geografia giudiziaria, attuata tra il 2013 e il 2014, ha avuto un impatto economico significativo sul sistema della giustizia civile in Italia, con conseguenze rilevanti sulla domanda, sull’offerta e sulla durata dei procedimenti.
La riforma ha comportato la chiusura di 25 tribunali, con una riduzione complessiva del numero di tribunali da 165 a 140, e la soppressione di 220 sezioni distaccate, accorpando le attività nei tribunali rimasti operativi. È stato inoltre creato un solo nuovo tribunale, quello di Napoli Nord ad Aversa, che è stato formalmente istituito poco prima dell’entrata in vigore della riforma. L’obiettivo economico di questa razionalizzazione era chiaro: incrementare la produttività degli uffici giudiziari attraverso un maggiore sfruttamento delle economie di scala e della specializzazione, riducendo nel contempo i costi amministrativi complessivi.
L’idea di fondo era che la riduzione del numero di tribunali e la concentrazione dei procedimenti avrebbe permesso ai giudici di sviluppare competenze più specifiche, migliorando la qualità delle decisioni e accelerando la definizione delle cause. Tuttavia, la riforma ha avuto un costo in termini di accessibilità, poiché l’aumento della distanza tra i cittadini e i tribunali di riferimento ha creato nuovi ostacoli economici e logistici all’accesso alla giustizia.
Prima della riforma, le sezioni distaccate distavano mediamente 8 chilometri dai comuni di loro competenza, mentre i tribunali principali distavano in media 13 chilometri. Dopo la riforma, la distanza media dai tribunali è aumentata a 14 chilometri.
La percentuale di popolazione che risiede a più di 20 chilometri dal tribunale di riferimento è passata dal 9% al 21%, mentre quella che vive a più di 50 chilometri è aumentata dal 3% al 9%. L’effetto economico di questa maggiore distanza si è tradotto in una riduzione della domanda di giustizia. In particolare, uno studio econometrico ha stimato che un aumento della distanza di 5 chilometri tra il cittadino e il tribunale di riferimento comporta una riduzione della domanda di giustizia del 6%.
Tale dinamica ha colpito soprattutto le materie caratterizzate da maggiore discrezionalità nella scelta di avviare un contenzioso. Infatti, il calo della domanda si è concentrato su contenziosi relativi alla responsabilità extracontrattuale, come ad esempio le cause per incidenti stradali, e ai diritti di proprietà, come le controversie condominiali. In queste materie, l’aumento dei costi di accesso, determinato dalla maggiore distanza, ha disincentivato il ricorso alla giustizia.
Al contrario, non si sono registrati effetti significativi sulla domanda di giustizia per materie come il diritto di famiglia, che comprende divorzi e separazioni, o per le crisi d’impresa, come le liquidazioni giudiziali. In questi casi, la scelta di avviare un procedimento è spesso vincolata da normative specifiche o dalla mancanza di alternative alla giustizia ordinaria, rendendo la domanda di giustizia meno sensibile all’aumento dei costi di accesso.
Sul lato dell’offerta, la riforma ha prodotto effetti economici positivi evidenti. Il numero di procedimenti definiti è aumentato complessivamente del 5%, mentre il tempo medio di definizione (disposition time) si è ridotto di una percentuale analoga, pari a circa il 5%. Gli effetti positivi si sono concentrati nei tribunali inizialmente meno produttivi, dove il potenziamento dimensionale e la maggiore specializzazione dei giudici hanno permesso un incremento significativo della capacità di definizione dei casi.
Gli effetti positivi sull’offerta di giustizia sono stati particolarmente marcati nei tribunali che hanno accentrato sezioni distaccate, mentre nei tribunali che hanno accorpato altri tribunali si sono registrate maggiori difficoltà organizzative legate alla fase di transizione. Il risultato suggerisce che l’accentramento di sezioni distaccate, che erano già operative e inserite in un determinato contesto territoriale, ha richiesto un adattamento più semplice rispetto alla fusione tra tribunali distinti, che ha invece generato problematiche legate alla riorganizzazione del personale, alla redistribuzione delle competenze e alla gestione logistica delle nuove sedi.
La riduzione della distanza tra i tribunali e le sezioni distaccate ha inoltre favorito un migliore sfruttamento delle economie di scala, permettendo ai giudici di trattare un volume maggiore di cause e di acquisire una maggiore specializzazione. Un effetto particolarmente rilevante si è osservato nei tribunali che hanno aumentato la loro dimensione, passando da una struttura di piccola scala, con meno di 20 magistrati, a una di media scala (tra 20 e 50 magistrati) o di grande scala (oltre 50 magistrati).
Complessivamente, 88 tribunali hanno visto un incremento della loro classe dimensionale, di cui 69 sono passati da piccoli a medi e 19 da medi a grandi. L’incremento dimensionale si è tradotto in un miglioramento generalizzato della capacità di definire le cause, senza che si siano registrati fenomeni di congestione o di perdita di efficienza nei tribunali più grandi.
Gli effetti della riforma sull’offerta di giustizia sono stati positivi soprattutto per le cause più complesse, che richiedono una maggiore specializzazione. In particolare, si è osservato un aumento della produttività nella definizione di cause relative alla responsabilità extracontrattuale e ai fallimenti, mentre non si sono registrati effetti significativi sulle cause di diritto societario, sulle esecuzioni civili e sui procedimenti speciali sommari.
La maggiore specializzazione ha permesso di ridurre la durata media dei procedimenti. Tra il 2010 e il 2019, il numero di procedimenti pendenti si è ridotto di circa il 30%, passando da un disposition time medio di 466 giorni nel 2010 a 345 giorni nel 2019, pari a una flessione del 26%.
La riduzione della durata dei procedimenti è stata trainata dall’incremento della produttività e dalla maggiore capacità di definire i procedimenti, favorita dalla specializzazione e dall’aumento del volume di lavoro gestito dai tribunali più grandi. Il calo dei tempi è stato più evidente per le cause complesse, mentre è stato meno significativo per le cause di diritto societario e per le esecuzioni civili.
L’effetto dinamico della riforma mostra che la capacità di risolvere le cause è migliorata progressivamente negli anni successivi all’attuazione della riforma, con un incremento graduale della produttività e una riduzione costante della durata dei procedimenti. Tuttavia, le difficoltà organizzative nei tribunali accorpati hanno limitato il pieno dispiegamento degli effetti positivi della riforma. I benefici economici derivanti dalla riforma sono stati superiori ai costi, soprattutto nei tribunali che hanno accentrato sezioni distaccate, dove le economie di scala e la specializzazione hanno migliorato significativamente la qualità e la tempestività della giustizia.
L’aumento della distanza tra cittadini e tribunali, però, ha penalizzato le fasce di popolazione più lontane dai centri urbani, riducendo l’accessibilità alla giustizia per le cause di minore rilevanza economica. La riduzione della domanda di giustizia osservata nelle materie caratterizzate da maggiore discrezionalità suggerisce che l’aumento dei costi di accesso abbia scoraggiato soprattutto le cause di valore modesto o di rilevanza marginale, mentre la domanda per le cause più complesse e vincolate da disposizioni normative è rimasta sostanzialmente invariata. In sintesi, la riforma ha migliorato la produttività e l’efficienza del sistema giudiziario, ma ha reso più difficile l’accesso alla giustizia per una parte della popolazione, soprattutto nelle aree periferiche e per le cause di valore più basso.
I DATI REGIONALI
La riforma della geografia giudiziaria ha avuto effetti differenziati tra le varie regioni italiane, sia in termini di domanda di giustizia, di offerta di giustizia e di durata dei processi. Prima della riforma, la distanza media tra sezioni distaccate e comuni di riferimento era di 8 km, mentre quella tra tribunali principali e comuni era di 13 km. Dopo la riforma, la distanza media è salita a 14 km, con un incremento più marcato nelle regioni meridionali. In Calabria la distanza media è aumentata del 30%, in Sicilia del 25% e in Sardegna del 20%. La percentuale di popolazione distante più di 20 kmdall’ufficio giudiziario di riferimento è passata dal 9% al 21%, mentre quella oltre i 50 km è salita dal 3% al 9%.
Dal lato della domanda di giustizia, l’aumento della distanza ha prodotto una riduzione della domanda media del 6% per ogni incremento di 5 km nella distanza tra cittadini e tribunale. La contrazione è stata più marcata nelle regioni meridionali, dove la riduzione ha raggiunto il 10% in Calabria e Sicilia, rispetto a una contrazione tra il 3% e il 4% in Lombardia e Veneto. Il calo della domanda ha riguardato principalmente cause di responsabilità extracontrattuale e diritti di proprietà, mentre non ha avuto effetti significativi su cause di diritto di famiglia e crisi d’impresa.
Dal lato dell’offerta di giustizia, il numero di procedimenti definiti è aumentato in media del 5%, ma con differenze significative tra le regioni. In Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, l’incremento è stato compreso tra il 7% e l’8%, mentre in Calabria, Sicilia e Sardegna è stato inferiore al 3%. La durata media dei processi (disposition time) è scesa a livello nazionale da 466 giorni nel 2010 a 345 giorni nel 2019 (-26%), con una riduzione più marcata nelle regioni settentrionali. In Lombardia e Veneto la durata è calata rispettivamente del 35% e del 32%, mentre in Sicilia e Calabria la riduzione è stata del 15% e del 18%. La maggiore efficienza ha riguardato soprattutto le cause più complesse, come i fallimenti e la responsabilità extracontrattuale, mentre non sono stati registrati effetti significativi sui tempi di definizione per cause di diritto societario e esecuzioni civili.
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