I fondi speculativi investono nelle cause contro le normative ambientali


Una pratica che arriva dal diritto anglosassone sta sostenendo gli interessi dei grandi gruppi che si occupano di combustibili fossili ed estrazione mineraria, unendo industria e finanza contro l’applicazione delle nuove direttive per la transizione ecologica e la tutela degli ecosistemi introdotte dagli Stati di tutto il mondo. 

Si tratta del litigation funding, un’azione di finanziamento delle controversie legali da parte di terzi, che sta prendendo piede anche fuori dai Paesi che si rifanno alla common law. In genere, il meccanismo è il seguente: un fondo di investimento specializzato copre le spese legali di una delle parti che si scontrano in una causa legale, in cambio di una percentuale sul risarcimento ottenuto in caso di vittoria. Una recente indagine del Guardian ha rivelato che il litigation funding è diventato sempre più popolare nel campo dell’Investor to State Dispute Settlement (Isds), strumento che consente alle aziende di adottare misure legali contro il potere pubblico se ritengono di aver ricevuto un trattamento scorretto. 

Per esempio, si può ricorrere a un procedimento Isds – previsto ormai come opzione nella maggior parte dei trattati internazionali e degli accordi di libero scambio – se si pensa che la propria azienda sia stata discriminata a favore di altre imprese, oppure se si considera ingiusta una nuova legislazione entrata in vigore a livello nazionale. Una volta aperto, il caso viene esaminato da un tribunale arbitrale privato e in genere deciso da un collegio di tre arbitri: uno scelto dall’azienda, uno dallo Stato e il terzo selezionato congiuntamente. 

In origine, la possibilità di avviare processi di questo tipo ha preso piede come clausola nei trattati dagli anni Sessanta in poi, con lo scopo di invogliare le grandi aziende ad investire nei Paesi in via di sviluppo e nelle zone con governi poco stabili avendo una garanzia in più. Spesso, però, a finire nel mirino delle dispute Isds sono oggi le normative che puntano a rendere più efficiente la protezione dell’ambiente o la mitigazione del cambiamento climatico.

Secondo i dati riportati del Guardian, infatti, al momento i colossi industriali più inquinanti sono anche i più attivi nel campo delle Isds, tanto che – da soli – il settore dei combustibili fossili e quello minerario avviano il trenta per cento dei contenziosi totali di questo tipo (e il cinquanta per cento di quelli analizzati dal Guardian). L’indagine ha preso in considerazione oltre millequattrocento cause internazionali identificabili come Isds, che nel complesso hanno visto centoventi miliardi di dollari di denaro pubblico assegnati alle aziende. Tra questi centoventi miliardi, ottantaquattro sono andati alle compagnie di combustibili fossili e 7,8 alle società minerarie. 

Esiste anche un serio problema di trasparenza. «Le cifre reali sono probabilmente molto più alte – scrivono i giornalisti del Guardian – poiché le aziende spesso non rivelano l’ammontare dei risarcimenti ricevuti. Nel trentuno per cento dei casi in cui è stato effettuato un pagamento o raggiunto un accordo, l’importo del risarcimento non è stato divulgato». 

Come già ricordato, i fondi di investimento non hanno tardato a cogliere questa ghiotta opportunità. Tra i millequattrocento analizzati, il Guardian ha identificato almeno settantacinque casi di Isds finanziate da soggetti terzi, sebbene anche questa sia probabilmente una sottostima significativa, dal momento che le informazioni sui fondi che stanno dietro alle litigation spesso non vengono divulgate al pubblico.

Tra i casi su cui il Guardian ha acceso i riflettori, c’è quello della Groenlandia, che di recente si è attirata le ire delle compagnie minerarie per aver introdotto un divieto di estrazione dell’uranio. A far valere le ragioni delle grandi società c’è Burford Capital, il più grande player al mondo per quanto riguarda i processi di litigation funding. Dal lato opposto, si schierano gli attivisti che sostengono la normativa voluta dal Governo, e che temono la dispersione di «polvere radioattiva proveniente dalla miniera a cielo aperto e dallo stoccaggio in loco dei rifiuti radioattivi», come raccontato da IrpiMedia in un reportage sul campo di qualche mese fa. 

Un’altra storia interessante riguarda la compagnia mineraria delle Bermuda South American Silver. Nel 2010, la società è stata accusata di aver inquinato habitat naturali e luoghi sacri per la comunità indigena, oltre ad aver minacciato gli abitanti delle aree vicine alla grande miniera di Malku Khota. Nel 2012, la Bolivia ha deciso quindi di revocare alcune concessioni alla South American Silver ma poi, proprio a causa di una Isds, il governo boliviano ha dovuto pagare 18,7 milioni di dollari in risarcimento alla compagnia. 



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