PNRR, QUALCHE TIMORE PER I FONDI: NON C’È CAPACITÀ DI SPESA PER OLTRE IL 50%


di ERCOLE INCALZA – Siamo in attesa del Piano in corso di definizione da parte del Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr Tommaso Foti, di un Piano che riconosce formalmente il reale rischio di perdere risorse assegnate dalla Unione Europea per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia, prevede investimenti e un coerente pacchetto di riforme, a cui sono allocate risorse per 191,5 miliardi di euro di cui 68,9 miliardi di euro a fondo perduto e 122,6 finanziati tramite prestiti e per 30,6 miliardi di euro attraverso il Fondo complementare istituito con il Decreto Legge 59 del 6 maggio 2021 a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio. Il totale dei fondi previsti ammonta quindi a di 222,1 miliardi di euro.

Ebbene, con apposite mie note ho, in modo dettagliato, ricordato sin dal 2021, praticamente pochi mesi dopo l’approvazione dell’apposito provvedimento da parte del Governo italiano, che il massimo importo che saremmo stati in grado di spendere entro il 30 giugno 2026 non avrebbe superato la soglia dei 90 miliardi di euro.

Il mio era un convincimento facilmente difendibile perché come ho ribadito più volte l’intero impianto programmatico non conteneva: una governance unica (fino all’inizio del 2023 vi erano ben sette centri di riferimento preposti alla gestione dell’operazione); elaborati progettuali con caratteristiche tecniche a livello esecutivo e, soprattutto, supportati da misurabili processi autorizzativi; cronoprogrammi che in partenza assicurassero il completamento delle opere entro il 30 giugno 2026, per cui è stato davvero facile poter quantificare una concreta attivazione della spesa, ripeto, non superiore ai 90 miliardi.

Il volano di risorse pari a 191,5 miliardi di euro (68,9 miliardi di euro a fondo perduto e 122,6 finanziati tramite prestiti) a cui si aggiunge, come detto prima, l’importo di 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare e che su preciso indirizzo della Unione Europea deve rispettare le stesse logiche e le stesse scadenze del Pnrr, vede un residuo di risorse non spese pari a: 222,1 – 90 = 132,1 miliardi di euro.

Sicuramente sarò smentito e sicuramente da più parti saranno forniti dati e precisazioni sul valore reale di questa mancata spesa e le cifre varieranno tra un minimo di 115 miliardi di euro ad un massimo di 125 miliardi di euro; non voglio polemizzare su simili precisazioni perché anche la cifra minima di 115 miliardi denuncia da sola quanto sia grave e al tempo stesso rischioso non poter ormai in nessun modo dare vita ad un tentativo di concreto salvataggio di tali risorse.

Ora, almeno seguendo sue ultime precisazioni, il Ministro Foti intende, entro questo mese di febbraio presentare un nuovo Piano che annulli le opere che non sarà possibile portare a compimento entro il 30 giugno del 2026 e, al loro posto, inserire nuovi interventi.

Questa impostazione, purtroppo, creerà rilevanti problemi con gli Enti locali e con le grandi aziende come le Ferrovie dello Stato, e questo contenzioso, ingestibile dal punto di vista istituzionale e politico, renderà ancora più difficile il rispetto della scadenza imposta dall’Unione Europea.

Per l’ennesima volta cerco di prospettare una ipotesi di lavoro così articolata: si chieda subito alla Unione Europea di aprire un confronto diretto in cui il nostro Paese  ammette la impossibilità di rispettare quanto previsto in merito alla scadenza dell’intero impianto programmatico e giustifica una simile inadempienza ricordando anche che una delle cause era da ricercarsi sia nella serie di verifiche elettorali effettuate negli anni 2022 e 2023, sia all’alternarsi di tre distinti Governi; verifiche sia nazionali che locali e questa mancata continuità amministrativa ed istituzionale aveva prodotto sostanziali ritardi nei processi autorizzativi.

Si trasformino le risorse a fondo perduto, pari a circa 28 miliardi non spendibili dei 68,9 miliardi autorizzati, in prestito con un tasso di interesse da definire; si aumentino i tassi dei 52 miliardi di euro dei 122,6 autorizzati inizialmente, mentre si mantengano inalterati i tassi dei 20 miliardi dei 30,6 miliardi del Fondo complementare; si fissi come scadenza definitiva di tutta l’operazione il 30 giugno del 2028; una data questa identica alla scadenza del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027 (scadenza che contiene in partenza una proroga fino al 30 giugno del 2028).

La Unione Europea penso sia disposta a confrontarsi su una simile proposta ed in particolare si convinca che con l’adeguamento dei tassi di interesse il nostro Paese sta praticamente adottando una procedura che non penalizza in nessun modo le aspettative di altri Paesi interessati da Fondi del Programma Next Generation Eu (Ngeu), il pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito per circa la metà da sovvenzioni, concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica.

Insisto nel difendere questa ipotesi di lavoro perché temo che ogni ipotesi alternativa si configuri come un secondo imperdonabile fallimento, un fallimento di questo Governo, un fallimento che peserebbe moltissimo nel bilancio conclusivo dell’attuale Legislatura. (ei)

 



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