Digitalizzare conviene davvero? Ecco i numeri che ogni Pmi deve conoscere – Artser


Negli ultimi anni, la trasformazione digitale ha assunto un ruolo importante per le piccole e medie imprese. Tuttavia, l’adozione delle nuove tecnologie non è priva di ostacoli. Secondo la professoressa Daniela Andreini, direttrice del dipartimento di Scienze aziendali dell’Università degli Studi di Bergamo, le principali barriere che impediscono alle Pmi di abbracciare la digitalizzazione sono legate a diversi fattori chiave:

Vincoli finanziari e contesto territoriale, poiché l’innovazione richiede investimenti in strumentazioni, aggiornamenti infrastrutturali e formazione del personale. Difficilmente però questi investimenti sono sostenibili solo con risorse interne di R&D, rendendo l’innovazione delle Pmi fortemente correlate alle politiche territoriali di sviluppo, attraverso sovvenzioni, e alle collaborazioni fuori e dentro il proprio territorio.

Obsolescenza tecnologica rapida, che crea il timore di investire in tecnologie che potrebbero risultare obsolete nel breve periodo. Questo crea a sua volta la difficoltà, timore e quindi differimento degli investimenti in innovazione strategica, che possono quindi diminuire soprattutto gli impatti dei vantaggi competitivi da “first mover”.

Carenza di competenze digitali: le Pmi hanno una difficoltà maggiore rispetto alle grandi imprese di attrazione dei talenti e quindi un problema diffuso che rende difficile per le aziende trovare risorse formate sulle nuove tecnologie.

Il peso delle competenze e della formazione 

«Non possiamo pensare che la trasformazione digitale si risolva solo con il denaro – afferma la professoressa Andreini – Oggi è fondamentale investire in formazione continua e sviluppare la capacità di innovarsi costantemente». Per affrontare la sfida digitale, secondo la docente, servono:

  • Innovation Management, con leader capaci di guidare la transizione digitale.
  • Strategie di pianificazione, per ottimizzare le risorse disponibili e investire in tecnologie adeguate.
  • Approfondita conoscenza dei dati aziendali, essenziale per evitare errori nelle analisi automatizzate.
  • Consapevolezza della cybersecurity, tema oggi più che mai rilevante per proteggere le imprese.

I vantaggi della digitalizzazione 

L’adozione delle tecnologie digitali, se ben strutturata, può portare benefici significativi alle Pmi. «Se pensata a livello strategico, la digitalizzazione può incrementare la produttività fino al 30%, migliorare la redditività del 35% e far crescere i ricavi anche del doppio», sottolinea la professoressa Andreini.

Tuttavia, gli studi scientifici verificano fortissime differenze tra Pmi, che dipendono dalla dimensione – maggiore è la dimensione e più evidenti sono i benefici di innovazione – e dalla dipendenza dell’innovazione del R&D in house. Ossia quanto più le Pmi sono aperte a contaminazioni e a collaborazioni esterne volte, incrementali sono i benefici dell’innovazione digitale.

Un altro elemento chiave riguarda l’innovazione nei processi produttivi e organizzativi. Tecnologie come intelligenza artificiale, big data, l’internet of things e cloud computing, consentono alle Pmi di operare in modo più efficace anche rispetto alle grandi aziende. «Se in passato la tecnologia serviva principalmente a ridurre i costi, oggi può aumentare i ricavi, migliorare l’esperienza del cliente e quindi la sua soddisfazione», aggiunge.

L’innovazione nelle Pmi rispetto alle grandi imprese 

Secondo la professoressa Andreini, le Pmi adottano l’innovazione in modo diverso rispetto alle grandi aziende:

  • Le grandi imprese implementano cambiamenti incrementali e costanti.
  • Le Pmi adottano innovazioni in modo discontinuo, con cambiamenti più visibili e impattanti nel breve termine.

«L’introduzione di una nuova tecnologia può far aumentare la produttività del 30% nelle Pmi, ma solo se inserita in una strategia ben strutturata», precisa Andreini.

Il ruolo della filiera  e la necessità di collaborazione 

Un aspetto spesso trascurato riguarda l’impatto della digitalizzazione sulla filiera produttiva. «Se una Pmi innova, ma i suoi fornitori non seguono lo stesso percorso, il rischio è di avere una filiera frammentata», avverte la docente. Tuttavia, con le tecnologie digitali, anche le piccole aziende possono essere protagoniste del cambiamento. «Pensiamo al settore automobilistico: mentre i grandi player esitavano, alcune startup hanno rivoluzionato il mercato puntando sull’elettrico».

Daniela Andreini evidenzia come la digitalizzazione possa anche creare nuovi equilibri all’interno delle filiere. «Oggi l’ecosistema può diventare molto più parcellizzato e, come accade con i dipendenti più giovani che introducono nuove pratiche digitali nelle aziende tradizionali, anche le startup possono trasformare interi settori».

I rischi della mancata innovazione

Secondo Andreini, «i settori più vulnerabili sono quelli che hanno delle grandi infrastrutture alla base, come le aziende manifatturiere, dove l’innovazione è più difficile, più costosa e più rischiosa». Tuttavia, il vero rischio è rimanere indietro rispetto alla concorrenza. «Le Pmi che non si adeguano al cambiamento rischiano di perdere quote di mercato e di diventare irrilevanti nel medio-lungo periodo».

Modelli di innovazione e applicazioni pratiche

«Il marketing digitale sta impattando enormemente sulla capacità di vendita delle Pmi», afferma Andreini, sottolineando come strumenti come il Customer Relationship Management (Crm) possano ottimizzare i processi interni e migliorare la gestione e la soddisfazione dei clienti.

Inoltre, la digitalizzazione sta trasformando anche la formazione e la manutenzione industriale: «L’uso dell’intelligenza artificiale per la creazione di manuali digitali e l’impiego della realtà aumentata per il training degli operatori stanno riducendo tempi e costi di apprendimento e manutenzione».

Tuttavia, la digitalizzazione non garantisce automaticamente il successo. «Abbiamo studi che mostrano che fino al 70% dei progetti di innovazione fallisce. Il punto non è solo implementare nuove tecnologie, ma farlo con una strategia ben definita», conclude la professoressa Andreini.

Annarita Cacciamani



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