La riforma che uccide il cinema italiano


La riforma del Tax Credit voluta dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano secondo gli operatori del settore, soprattutto i piccoli produttori e le maestranze che si sono visti decurtare gli sgravi fiscali, sta uccidendo il cinema italiano. Un settore già uscito con le ossa rotte dal periodo Covid, che ora lancia un disperato appello. Occorre mettere mano nuovamente alle norme in vigore prevedendo agevolazioni o nessuna macchina da presa sarà accesa, nessun attore reciterà, nessun tecnico si muoverà: tutto rimarrà immobile. Lo spiega Gigi Piepoli, operatore tarantino dell’audiovisivo e del cinema, che ha partecipato a film come La vita davanti a sé (2020), The Cage – Nella gabbia (2023), Comandante, Stranizza d’amuri, In the fire, Profeti, Maradona-Sogno benedetto, Sarah-La ragazza di Avetrana, Dorothy non deve morire, cortometraggi come Oltre le nubi, serie tv come Braccialetti rossi (prima stagione), Natale in casa Cupiello e La legge di Lidia Poet.

Piepoli è portavoce del Comparto Audiovisivo e Cinema Auto Organizzato per la Puglia (Cacao) ed esponente del comitato #siamoaititolidicoda.

La riforma di Sangiuliano, che ha modificato la norma introdotta nel 2007 dall’ex ministro Francesco Rutelli e rimodulata nel 2016 da Dario Franceschini, prevede per le piccole produzioni condizioni ritenute fuori portata per fare richiesta di sgravi (tra le altre cose, devono assicurare che l’opera ha già il 40 per cento di fondi privati a finanziarla e un minimo di proiezioni assicurate).

In questo modo, denunciano gli operatori, si sta mettendo a serio rischio l’occupazione nel comparto soprattutto in regioni come la Puglia, dove il cinema indipendente e le produzioni locali rappresentano una parte vitale dell’economia e della cultura. A causa della drastica riduzione delle opportunità di lavoro, molti professionisti oggi si ritrovano disoccupati.

“Si tratta di una riforma – puntualizza Gigi Piepoli – che ha cambiato di parecchio le regole del gioco e che sostanzialmente va a rendere molto complesso l’accesso a finanziamenti alle piccole e medie imprese di produzione italiana, favorendo in maniera più esplicita i grandi player internazionali come le piattaforme o società molto grosse che hanno meno bisogno del fondo”.

Si è registrato dunque un calo progressivo e inesorabile del lavoro del settore del cinema e dell’audiovisivo. In un sondaggio ad hoc realizzato dal comitato #siamoaititolidicoda a cui hanno risposto su base volontaria un totale di 1603 operatori emerge che il 75% degli intervistati è fermo. E chi sta lavorando dichiara per il 64,7% che quando finirà l’attuale progetto non ha nuove opportunità di lavoro in vista. La sfiducia nell’industria cinematografica italiana è pari al 99,1%, con un tasso di preoccupazione per il proprio futuro del 96,3%. Il 12,1% (146 persone) sono ferme da più di 12 mesi.

“Nel nostro settore, oltre la Naspi – confida Piepoli – che per noi è uno strumento normale che percepiamo lavorando a intermittenza, non c’è welfare. Non ci sono prospettive. Anche quando si è insediato il ministro Giuli non ci sono state riforme o decreti correttivi, è rimasta la stessa situazione. C’è un ricorso al Tar che si esprimerà il 27 maggio ma fondamentalmente abbiamo perso due anni di lavoro. Siamo abbastanza messi male”.

Si sollecitano dunque decreti correttivi “che riabilitino le piccole e medie imprese e facciano ripartire la macchina del lavoro. Si sta andando a distruggere un’industria perché poi ci vogliono anni per formare dei professionisti, per creare delle competenze. Una volta che tu le distruggi le persone cambiano lavoro. Molti stanno cercando di cambiare lavoro”.

La questione riguarda tutti i componenti di una troupe cinematografica: la parte autoriale, i tecnici di ripresa, i tecnici del suono, le maestranze in generale. Tutti quei lavoratori che servono per realizzare un film. “Io – racconta Gigi Piepoli – ho iniziato ormai 12 anni fa a Taranto come operatore televisivo per un periodo nella cronaca locale e nazionale come service per Telenorba, per la Rai e il Fatto Quotidiano tv. Poi ho aperto una società di produzione per un periodo e pian piano mi sono reso conto che quello che mi piaceva fare era il cinema. Da una decina d’anni sto lavorando in questa industria, dove lavoro come assistente operatore, e sto crescendo sia come professionalità che come esperienze, avendo scelto di rimanere a Taranto. La cosa facile sarebbe stata andare a Roma a lavorare ma ho scelto di restare in questa città perché vorrei vederla crescere”.

Secondo Piepoli “la visione ideologica che questo governo ha dato con Sangiuliano va a discriminare anche i nuovi talenti. Quanti film realizzati nel passato non si possono più fare? Noi stiamo cercando di sfruttare eventi come è accaduto recentemente con il Bif&st per riportare in auge il problema. Vogliamo far capire all’opinione pubblica che una volta che l’industria del cinema viene distrutta rimarranno solo quei prodotti seriali televisivi, prodotti che arrivano dall’estero. Ma tutto il cinema d’autore, il piccolo cinema che pure ha fatto grande l’industria italiana malinconicamente finirà”.

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