I costi della mancata transizione all’elettrico dell’industria automobilistica italiana


L’inazione dell’industria automobilistica italiana nella transizione all’elettrico potrebbe costare caro. Senza un piano di politiche industriali e misure di stimolo economico per l’industria dell’auto mirate alla transizione alla mobilità elettrica, al 2030 il valore della produzione del comparto potrebbe infatti registrare un calo del 56-58%, per un valore stimato fino a 7,49 miliardi di dollari.  

Causando, nel peggiore degli scenari, la perdita di 94mila posti di lavoro con un conseguente “costo” in termini di cassa integrazione di due miliardi di dollari.

Sono i risultati dell’analisi commissionata da ECCO, il think tank italiano sul clima, e dalla Federazione europei dei trasporti e dell’ambiente (Transport and Environment, T&E), a un gruppo di economisti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Centro ricerche Enrico Fermi di Roma.  

Lo studio esplora i possibili impatti economici, industriali e sociali del declino della produzione nazionale di auto, ovvero stima il “costo dell’inazione” mentre il settore, a livello globale, è impegnato nella transizione verso l’elettrico. Ma l’analisi non si limita a questo; fornisce anche un piano di politiche industriali coerenti con la transizione all’elettrico e gli obiettivi climatici.

Tra le strategie proposte, ECCO e T&E ritengono siano da privilegiare la possibilità di sperimentare il social leasing e di accelerare l’elettrificazione delle flotte aziendali, dal lato della domanda, con meccanismi di premialità come l’Ecoscore; e di sostenere la produzione, attraverso leve fiscali o incentivi, mirando alle tecnologie e alle componenti strategiche della filiera dell’elettrico, mitigando il costo dell’energia valorizzando il contributo delle rinnovabili. 

“La crisi dell’industria dell’auto in Italia ha radici lontane e, contrariamente a quanto spesso si vuol far credere, parte da molto prima dell’avvento dell’auto elettrica -ha spiegato Andrea Boraschi, direttore di Transport and Environment Italia-. Che invece rappresenta la frontiera verso la quale si muove l’industria globale, il presente e il futuro della mobilità privata. Resistere alla transizione è una strategia perdente. L’Italia deve garantire un quadro regolatorio e fiscale stabile che favorisce l’elettrificazione, e dare sostegno mirato all’industria per lo sviluppo di tutte le tecnologie strategiche lungo la filiera, premiando direttamente la produzione come stanno facendo, con successo, negli Stati Uniti”.  

L’industria italiana dell’automobile si trova ad affrontare la sfida della transizione all’elettrico in un momento di crisi. La produzione è scesa al di sotto delle 500mila unità l’anno, un valore nettamente inferiore alla soglia dei due milioni raggiunta negli anni Novanta.

Una crisi causata anche dalla bassa diffusione della mobilità elettrica nel Paese. Nel 2023, infatti, la produzione di veicoli elettrici è stata di appena 78mila unità (il 14% del totale), valore che, in un contesto di pesante contrazione generale della produzione del settore, si è quasi dimezzato nel 2024: 45mila unità prodotte, su un totale di circa 310mila autovetture. Non è un caso che, anche in un panorama che vede l’Europa faticare a tenere il passo di Stati Uniti e Cina nell’elettrificazione della mobilità su strada, l’Italia risulti il Paese meno attrattivo per gli investimenti nelle auto elettriche.

Lo studio si pone come obiettivo quello di calcolare gli effetti sulla produzione automobilistica della mancanza di politiche per favorire l’elettrificazione. Secondo i ricercatori se non si inverte la rotta il valore del settore calerà drasticamente, con gravi conseguenze su economia e occupazione.  

Secondo gli esperti, senza una chiara strategia di elettrificazione e senza politiche di innovazione la produzione di auto continuerà a diminuire, causando una progressiva perdita di posti di lavoro lungo l’intera filiera. Questo calo dell’occupazione ridurrà il potere d’acquisto, innescando un ciclo economico regressivo. Gli effetti vengono quantificati in diversi scenari di intervento dello Stato con misure di sostegno al reddito (Low, Medium e High intervention), ipotizzando diversa capacità di riassorbimento dei lavoratori in altri comparti, e valutando così l’impatto sulle finanze pubbliche di diversi livelli di spesa per la cassa integrazione per il 2030. 

Nello scenario più prudente (Low intervention), che ipotizza una maggiore capacità del mercato del lavoro di assorbire i lavoratori in esubero, si assiste a una perdita della produzione di 7,24 miliardi di dollari, una riduzione del consumo di automobili di 4,42 miliardi (il 56% in meno rispetto ai valori del 2020), la perdita di 66mila posti di lavoro (di cui il 63% nel resto della filiera) per un costo in cassa integrazione di 510 milioni. Numeri che peggiorano drasticamente nello scenario più “pessimista”.  

In questa previsione il calo della produzione e del consumo di auto risulta pari al 58% rispetto ai valori del 2020, con una perdita in valore pari a 7,49 miliardi e 4,66 miliardi di dollari, rispettivamente. Per una perdita di 94mila posti di lavoro e un costo per lo Stato di due miliardi di dollari, pari al doppio della spesa nel 2022. 

Gli autori dell’analisi propongono quindi una serie di strategie per supportare il settore automobilistico italiano e favorire la transizione all’elettrico. È ritenuto prioritario il sostegno alla domanda di veicoli elettrici, attraverso piani di incentivi stabili e mirati esclusivamente alle tecnologie a zero emissioni, accompagnate da meccanismi di premialità sul modello dell’Ecoscore per favorire la produzione nazionale di prodotti a ridotto impatto. A cui vanno affiancate soluzioni di social leasing, utili anche a favorire l’adozione di veicoli elettrici, più vantaggiosi sotto il profilo dei consumi, per le fasce di popolazione in povertà da mobilità. Inoltre, è necessario sostenere lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica pubblica e privata accompagnandola da una revisione della fiscalità dell’energia e dal riconoscimento di crediti per la componente rinnovabile dell’elettricità destinata ai trasporti. 

Lato produzione, per attrarre capitali e stimolare nuovi investimenti, gli autori ritengono necessario adottare politiche di incentivo per unità di produzione, specie nello sviluppo di filiere industriali strategiche, come quella delle batterie -dalla produzione di celle al riciclo dei materiali- per rafforzare l’autonomia produttiva e ridurre la dipendenza da fornitori esteri.

Per colmare il divario di costo dell’energia con altri Paesi, la raccomandazione è quella di integrare misure emergenziali con una strategia strutturale di decoupling tra i prezzi di gas e rinnovabili, garantendo maggiore stabilità e prevedibilità per le aziende. Infine, per rafforzare la competitività industriale del Paese, è necessario combinare politiche di sostegno e promozione, ad esempio attraverso la leva fiscale per ricerca e sviluppo con misure che promuovano la collaborazione tra imprese e istituzioni, sostenendo al contempo l’industrializzazione di prodotto. Attenendosi alle strategie di decarbonizzazione dell’Unione europea senza cadere in false soluzioni come l’utilizzo di biocarburanti o di carburanti sintetici.

“Le conseguenze socioeconomiche dei ritardi nella transizione del settore automotive in Italia sono evidenti già oggi -ha concluso Massimiliano Bienati, Responsabile delle politiche dei trasporti di ECCO-. Nella trasformazione del mercato globale dell’auto, il dibattito politico e pubblico dovrebbe uscire dal paradigma della neutralità tecnologica e sviluppare un piano industriale di rilancio del comparto fondato sull’innovazione e la ricerca verso l’elettrico. Politiche e misure dovranno essere coerenti e allineate con gli obiettivi di decarbonizzazione europei e del piano di rilancio competitivo del settore. Incentivare la domanda e stimolare investimenti nell’innovazione di prodotto e di processo per produzioni di veicoli elettrici e componenti Made in Italy deve diventare una priorità nazionale”. 

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