Dazi, chi è più danneggiato nella Ue: per l’Italia grazie alle esenzioni la tariffa effettiva si ferma al 16%


Sulla carta è uguale per tutti: 20%. Ma in realtà il dazio reciproco annunciato da Donald Trump sui prodotti in arrivo dalla Ue penalizza alcuni Paesi più di altri. L’Italia, il cui surplus commerciale nei confronti degli Usa è molto ampio, sarebbe stata danneggiata di più se Washington avesse applicato la sconclusionata formula impiegata per calcolare alle tariffe ad ogni singolo Paese e non all’area nel suo complesso. Ed è avvantaggiata dal fatto che nel suo paniere di esportazioni pesano molto alcuni dei beni che la Casa Bianca ha deciso, almeno per ora, di risparmiare: nella lista delle esenzioni ci sono per esempio, insieme ai semiconduttori e ad alcuni minerali, gran parte dei prodotti farmaceutici e il legname.

Il Financial Times nei giorni scorsi ha stilato una lista di “vincitori” e “vinti” sulla base, appunto, dell’effettiva aliquota tariffaria che ogni Paese si vedrà applicare alla luce di che cosa esporta di più oltreoceano. Per l’Italia sarà poco sopra il 16%, come per la Spagna: si tratta di un punto in meno rispetto a quella imposta alla Francia e due punti in meno rispetto al dazio reciproco che subirà la Germania. Roma peraltro si sarebbe vista applicare il 29% se i consiglieri della Casa Bianca avessero calcolato la tariffa necessaria per pareggiare la bilancia commerciale al suo surplus nazionale (differenza tra export e import) che è pari a quasi 40 miliardi.

I veri vincitori sono però Irlanda e Slovenia che avranno dazi effettivi solo del 5%. Tra i vinti c’è invece la Slovacchia, con oltre il 24%, seguita dal Lussemburgo, con il 22%. Per Bratislava pesano le tariffe aggiuntive su automobili e componenti per auto che danneggeranno la sua forte produzione manifatturiera.

Allargando lo sguardo al resto del mondo, le tariffe più elevate annunciate mercoledì riguardano comunque i paesi asiatici dove negli ultimi anni le grandi aziende Usa hanno delocalizzato: dalla Cambogia con il 49% al Vietnam con il 46%, poi la Thailandia con il 37%, Taiwan e l’Indonesia con il 32%. Saranno loro le vittime predestinate, visto che “la stragrande maggioranza delle esportazioni della regione verso gli Stati Uniti non rientrerà nell’elenco limitato di beni esentati annunciato dalla Casa Bianca”.

La formula molto criticata utilizzata per calcolare le tariffe, nota il Ft evidenziando un’altra illogicità, è stata applicata ai dati commerciali relativi al 2024. Ma quei numeri variano ovviamente di anno in anno. Chi di solito è in deficit nei confronti degli Usa e solo nel 2024 ha registrato un surplus si troverà così beffato: per esempio la Namibia si è vista imporre un’aliquota tariffaria del 21% nonostante in tre dei quattro anni precedenti abbia importato dagli Usa più di quanto ha esportato. Altro caso : il territorio francese d’oltremare Saint Pierre e Miquelon, meno di 6mila abitanti, ha rischiato un’aliquota del 50% per aver restituito agli Stati Uniti “un singolo pezzo di ricambio per aeromobili da 3,4 milioni di dollari”. La Casa Bianca se n’è accorta e ha corretto il tiro.



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