L’associazione propone inoltre l’istituzione urgente di una task force interministeriale permanente – composta da MIMIT e Ministero del Lavoro – per monitorare le crisi aziendali legate ai dazi e attivare strumenti di politica attiva del lavoro: percorsi di formazione, incentivi alla ricollocazione e accompagnamento alla transizione verso settori in crescita.
Il Centro Studi di Conflavoro, guidato da Sandro Susini, ha infatti pubblicato un’analisi dettagliata delle possibili conseguenze dei dazi USA per l’economia italiana. Lo studio stima una contrazione potenziale del PIL di 2 miliardi di euro e un rischio occupazionale per circa 30 mila lavoratori, con agroalimentare (5.700 posti) , moda e lusso (4.500), meccanica e automotive (4.500) tra i più esposti. Seguono arredamento di design (3.400) e cantieristica navale (3.000), ma anche un eventuale calo del turismo dagli USA potrebbe portare alla perdita di 2.000 posti nel settore.
Particolarmente vulnerabili rispetto ai nuovi dazi, secondo il Centro Studi di Conflavoro, risultano le regioni del Centro-Nord, cuore pulsante dell’export nazionale verso gli Stati Uniti (la Lombardia esporta prodotti per 14,3 miliardi, l’Emilia Romagna 10,4, la Toscana 9,1, poi il Veneto 7,3 e il Piemonte 6,4), ma anche il Centro-Sud che registra comunque un mercato importante verso gli USA (Lazio 5,4 miliardi, Campania 3,2, Marche 3,2, Puglia 2,1, Sicilia 1,6 e Calabria 1,2).
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