Mentre guerre, tensioni e conflitti commerciali imperversano un po’ in tutto il mondo, creando contrasti e ostilità partigiane, in Italia soffia da quasi un anno un vento di pace tra le imprese, sotto il cappello di Confindustria, e il governo guidato da Giorgia Meloni.
Con la nomina dell’emiliano Emanuele Orsini a presidente della più grande associazione di rappresentanza delle imprese italiane sembra tornata una certa sintonia tra Palazzo Chigi e Viale dell’Astronomia, dopo gli attriti tra Carlo Bonomi e gli ultimi esecutivi, eccezion fatta per quello a guida Draghi.
Certo determinante nella convergenza di intenti tra industria e governo italiano è stata la necessità di reagire senza perder tempo alle sfide continue, sistemiche ed esogene degli ultimi 12 mesi. Da quando cioè Orsini è stato designato. Quindi l’agenda delle priorità si è quasi scritta da sola. Tanto che parte delle battaglie portate apertamente avanti dall’imprenditore hanno trovato sponda nel governo.
Basti pensare che con la legge di bilancio 2025 l’esecutivo ha concretizzato tre delle principali richieste del presidente di Confindustria per riuscire a invertire la tendenza negativa nella produzione industriale che si protrae ormai da 25 mesi. Innanzitutto si è reso strutturale il taglio del cuneo fiscale, che si trasforma in capacità di spesa per gli italiani e dunque propensione al consumo. È stata poi introdotta per il 2025 un’Ires premiale al 20% per le imprese che lasceranno l’80% degli utili in azienda e decideranno di investirli in beni, nuove assunzioni, formazione o welfare.
Nondimeno la manovra ha esteso i fringe benefit per l’anno in corso a quanti si trasferiscono per lavoro, così da rispondere all’allarme di Confindustria (di varie presidenze) del mismatch tra domanda e offerta di lavoro che vale 38 miliardi. Su questo punto Orsini si è spinto oltre: ha stilato un piano per fornire anche soluzioni abitative sostenibili per i lavoratori, magari sfruttando gli immobili pubblici o aree non utilizzati.
I nodi in materia di energia
In materia di energia i bullet point segnalati sono sovrapponibili con quelli del governo Meloni a livello nazionale e soprattutto all’interno dell’Ue.
Per il momento anche l’importanza per Confindustria di accelerare sul nucleare, partendo dalle mini centrali, ha trovato corpo nella legge delega sul piano nazionale per il nucleare, pilastro per diversificare il mix energetico e risultare così competitivi.
Serve invece ancora lavorare a livello Ue per sradicare altre due preoccupazioni tanto delle imprese quanto di Palazzo Chigi. Da un lato, per eliminare i differenziali di prezzo tra Paesi membri che penalizzano la competitività delle imprese italiane (che pagano in media il doppio dei loro competitor europei) è necessario un mercato unico dell’energia. Dall’altro lato, bisogna cambiare rotta sul Green Deal, tenendo fermo il principio della neutralità tecnologica. La transizione non va certo stoppata, ma va attuata nei tempi e nei modi giusti, anche perché, ha ricordato più volte Orsini, «il 13,4% del pil mondiale viene dall’Europa e solo il 7% dall’inquinamento». E soprattutto per il numero uno di Confindustria gli obiettivi, come attualmente fissati dall’Ue, sono «autolesionisti». Dei «dazi interni che l’Ue si è posta da sola» invece per la premier Meloni.
L’allarme dazi
A proposito di tariffe commerciali, univoco è l’allarme sulle potenziali conseguenze delle imposte introdotte da Donald Trump. Per supportare il sistema produttivo nazionale il governo ha dichiarato che metterà in campo 32 miliardi di euro, senza aver bisogno di contrarre altro debito pubblico. Le risorse infatti, come suggerito dallo stesso Orsini, provengono dai fondi del Pnrr (14 miliardi), di Coesione (11 miliardi) e dal Piano sociale per il clima (7 miliardi).
Servirà in aggiunta – preme Viale dell’Astronomia – pensare un piano industriale «a lungo termine lavorando sugli investimenti, semplificando le procedure e accrescendo la competitività dell’Unione nei singoli Paesi e come blocco». Insomma, nell’emergenza, pare aver sfruttato il rapporto e la conoscenza che vantava con la premier anche in campagna elettorale in Confindustria un anno fa. Ma alla fine è reale capacità di incidere e di dettare l’agenda o si tratta piuttosto di appiattimento alle politiche di un governo che ha mostrato una buona dose di concretezza? Ai prossimi mesi l’ardua sentenza.
Il delisting del Sole 24 Ore
Confindustria vuol dire innanzitutto industria, ma anche partecipate, due in primis: il gruppo editoriale Sole 24 Ore e la Luiss, l’università privata di casa. Viale dell’Astronomia è azionista di controllo e determina la governance di entrambe. Anche qui la gestione di Orsini, che come accade con ogni presidente nei primi sei mesi gode della luna di miele col sistema che poi a meno di un forte carisma si dissolve, è stata non priva di difficoltà. Dopo che se ne parlava almeno da 5 anni (Bonomi l’aveva bocciata), l’imprenditore emiliano ha accelerato sul delisting del Sole 24 Ore, il cui 72% è in pancia a Confindustria Servizi.
L’operazione ha creato qualche perplessità non soltanto fra i giornalisti della testata, ma anche fra alcuni associati, nonostante il consiglio generale della confederazione, convocato in tutta fretta mercoledì 9 aprile a borsa chiusa «per comunicazioni del presidente», abbia votato all’unanimità l’opa totalitaria per far uscire il gruppo dalla borsa.
Quotato sotto la presidenza Montezemolo nel 2007, l’asset valeva inizialmente 750 milioni (collocamento a 5,75 euro). Prima dell’offerta di martedì 8 aprile la market cap del Sole era invece fissa intorno ai 40 milioni di euro. Orsini ha offerto agli altri soci un prezzo di 1,1 euro per azione «cum dividendo», valore che incorpora un premio del 42,54% sulla quotazione ufficiale della seduta pre-annuncio, pari a 0,768 euro. In caso di totale adesione, l’esborso complessivo sarebbe di una ventina di milioni.
Dal punto di vista dell’azionista di controllo, l’operazione ha degli indubbi vantaggi come il risparmio di circa 2 milioni di costi di compliance, «maggiore flessibilità gestionale» ed è funzionale a un percorso di crescita che non deve sottostare alle logiche della borsa, dove oltretutto il flottante è limitato e il titolo è poco mosso. In più, secondo quanto rivelano a MF-Milano Finanza fonti interne alla confederazione, avverrà a costo zero, tutta a leva, tramite un portage organizzato con Intesa Sanpaolo e da ripagare poi con cassa interna della delistata.
Il timing ha creato delle perplessità visto che il delisting arriva dopo che in consiglio si è consumato uno strappo fra il presidente Edoardo Garrone (che non ha votato il bilancio) e l’amministratore delegato uscente Mirja Cartia D’Asero.
La divergenza di vedute è stata sul mancato accantonamento di poste per la causa da 60 milioni fra Digited e il gruppo editoriale per la divisione formazione (Sole 24 Ore Formazione). Su questi rischi legali hanno acceso un faro anche collegio sindacale e Consob. Qualcuno ha letto l’accelerazione sul delisting come un intervento per fermare una vicenda che in futuro, in un contesto borsistico, avrebbe potuto creare qualche grattacapo. Anche se fonti vicine al dossier assicurano che non c’è alcun legame fra le due partite.
La cessione della maggioranza di Luiss Executive
Alla Luiss invece, dov’è arrivato il past president Giorgio Fossa per ripagare l’appoggio elettorale di Confindustria Varese alla sua scalata all’associazione nazionale, Orsini ha dovuto gestire l’operazione di cessione della maggioranza di Luiss Executive. Si tratta dello spin-off della Luiss Business School (formazione post-laurea) per i corsi per professionisti già inseriti nel mondo del lavoro e i custom program dedicati alle aziende che Bonomi e i past president Vincenzo Boccia e Luigi Abete avevano promesso a Digited, il polo della formazione di Nextalia.
Con l’acquisto nel 2023 di Business School24, il fondo di Francesco Canzonieri ha anche ereditato la causa che il precedente proprietario, Palamon, aveva intentato al Sole per l’uso del brand Sole 24 Ore nel ritorno sul mercato education. A detta della difesa una violazione degli accordi contrattuali. La vicenda della causa civile, ancora al primo grado, è deflagrata poi nel consiglio del gruppo editoriale e ha fatto saltare anche la vendita di Luiss Executive. Pare che l’operazione sia in corso di rimpiazzo da partnership e accordi commerciali in via di definizione fra la Luiss e Digited.
Infine, nonostante il grande consenso elettorale conseguente al ritiro di Garrone nella propria corsa alla presidenza, Orsini non ha sfruttato appieno l’opportunità: la composizione della squadra di vertice e la riforma della macchina confindustriale non sono state indipendenti rispetto a logiche di scambio elettorale fra le varie anime di Confindustria e il sistema delle territoriali. Una forte organizzazione, in grado di attuare una costante azione di lobby nei confronti del policy maker, è un pre-requisito per tornare a scrivere pagine nuove in Confindustria e ritrovare quel blasone che il sistema ormai rimpiange da anni. (riproduzione riservata)
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