Il matrimonio tra Industrial IoT e Transizione 5.0 potrebbe ridurre le emissioni dell’industria di quasi il 10%


L’Industrial IoT è una delle colonne portanti della trasformazione digitale nel settore manifatturiero italiano. Le fabbriche intelligenti, o Smart Factory, rappresentano non solo un’evoluzione tecnologica, ma un vero e proprio cambio di paradigma nel modo di produrre, gestire e ottimizzare le operations. L’analisi dei dati più recenti emersi da una ricerca realizzata nell’ambito delle attività dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano rivela però un quadro a due velocità: da un lato, una solida diffusione delle pratiche legate all’Industria 4.0; dall’altro, un’adozione ancora timida e incerta dei principi dell’Industria 5.0 e della Transizione 5.0, il percorso che pone al centro la sostenibilità, la resilienza e l’approccio antropocentrico, con un potenziale notevole per la decarbonizzazione dell’industria nazionale, come evidenziato dalle analisi dell’Osservatorio.

La diffusione dell’Industria 4.0 nelle imprese italiane

L’indagine condotta dall’Osservatorio su un campione significativo di 110 grandi aziende e 52 medie imprese italiane mostra chiaramente come l’adozione di progetti Industrial IoT in chiave 4.0 sia un fenomeno ormai consolidato e in continua, seppur moderata, crescita. Nel corso del 2024, il 25% delle grandi aziende e il 22% delle medie imprese hanno avviato almeno un nuovo progetto IIoT legato all’Industria 4.0. Questi dati segnano un incremento rispetto agli anni precedenti, in particolare rispetto al 2022 (+11% per le grandi imprese, +5% per le medie), confermando una tendenza all’investimento continuo in queste tecnologie.

Guardando al quadro complessivo emerge che la stragrande maggioranza delle imprese di maggiori dimensioni ha già intrapreso questo percorso: l’80% delle grandi aziende dichiara di aver avviato progetti per l’Industria 4.0 negli ultimi anni. Anche tra le medie imprese la penetrazione è rilevante, attestandosi al 69%. Questi numeri testimoniano come l’interconnessione dei macchinari, la raccolta dati in tempo reale e l’automazione avanzata siano diventati elementi strategici per la competitività di molte realtà industriali italiane. L’Industria 4.0, con i suoi pilastri tecnologici, sembra aver messo radici solide nel tessuto produttivo nazionale, rappresentando una base fondamentale su cui costruire ulteriori evoluzioni.

Industria 5.0: un orizzonte ancora da raggiungere

Se l’Industria 4.0 appare come una realtà ben avviata, lo stesso non si può dire per la cosiddetta Transizione 5.0. Questo nuovo paradigma, che integra gli obiettivi di efficienza e produttività del 4.0 con una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale, alla resilienza delle catene del valore e al benessere del lavoratore (human-centricity), stenta ancora a decollare. I dati dell’Osservatorio sono eloquenti: solo una grande azienda su due (49%) e meno di una media impresa su tre (32%) dichiarano di aver intrapreso iniziative riconducibili all’Industria 5.0. Si tratta di percentuali significativamente inferiori rispetto a quelle registrate per i progetti 4.0 (rispettivamente -31% e -37%).

Questa differenza marcata suggerisce che concetti chiave della Transizione 5.0, come la collaborazione avanzata uomo-robot, la personalizzazione di massa spinta verso la sostenibilità e l’integrazione profonda tra efficienza produttiva e obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance), non sono ancora stati pienamente compresi e, soprattutto, implementati dalle imprese italiane. C’è una chiara necessità di fare chiarezza sui benefici concreti e sulle modalità operative di questo nuovo approccio, superando una percezione forse ancora troppo astratta o legata a investimenti percepiti come complessi e di non immediato ritorno economico.

Il ruolo critico degli incentivi: il piano Transizione 5.0

Un fattore determinante nell’adozione di tecnologie innovative in ambito industriale è rappresentato dalle politiche di incentivazione. Il Piano Transizione 5.0, lanciato con l’ambizione di guidare le imprese verso una produzione più sostenibile e digitale, ha incontrato notevoli ostacoli nei suoi primi mesi di operatività, non riuscendo a soddisfare appieno le aspettative. L’avvio della piattaforma per la presentazione delle domande, previsto inizialmente per il 1° gennaio 2024, ha subito ritardi considerevoli, diventando operativa solo nell’agosto dello stesso anno.

“Il Piano Transizione 5.0 rappresentava un’opportunità importante per spingere gli investimenti verso la sostenibilità, ma le complessità burocratiche, i ritardi nell’attivazione e soprattutto la difficoltà nel certificare i risparmi energetici ne hanno limitato l’efficacia iniziale, come dimostra il basso tasso di prenotazione dei crediti d’imposta”, commenta Giulio Salvadori, direttore dell’Osservatorio. “Queste barriere hanno inevitabilmente rallentato l’adozione di progettualità 5.0 da parte delle imprese”.

Oltre ai ritardi, infatti, diverse barriere hanno frenato l’accesso agli incentivi. Tra le più citate dalle imprese vi sono aliquote del credito d’imposta ritenute non sufficientemente vantaggiose a fronte della maggiore complessità burocratica e tecnica richiesta rispetto al precedente Piano Transizione 4.0. Hanno pesato anche il divieto di cumulo con altri incentivi (poi risolto) e le tempistiche giudicate troppo stringenti. La criticità maggiore risiede però nella complessità oggettiva di misurare ex-ante i risparmi energetici derivanti dagli investimenti, con il rischio concreto per le imprese di non raggiungere le soglie minime di riduzione previste dalla normativa, vanificando così l’accesso al beneficio fiscale anche a fronte di investimenti già effettuati.

Questa situazione ha portato a un utilizzo molto limitato delle risorse messe a disposizione: a fine marzo 2025, i crediti d’imposta prenotati ammontavano a poco più di 560 milioni di euro, appena il 9% dello stanziamento complessivo gestito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT). Solo ad aprile si è verificata una certa accelerazione, superando quota 700 milioni.

Paradossalmente a beneficiare di questa situazione è stato il Piano Transizione 4.0 che, grazie alla sua maggiore semplicità e accessibilità, ha visto un numero di richieste superiore alle attese nel corso del 2024. Il ritardo nell’attuazione e nell’efficacia del Piano 5.0 rispecchia fedelmente il ritardo nell’adozione delle progettualità 5.0 da parte delle imprese, evidenziando un disallineamento tra gli obiettivi politici e la realtà operativa. La difficoltà nel raggiungere l’obiettivo di allocare i 6,3 miliardi di euro entro fine anno ha spinto il Governo a riprogrammare parte dei fondi (circa 3,3 miliardi), destinandoli a misure ritenute più immediatamente efficaci.

L’impatto potenziale sulla sostenibilità

Nonostante le difficoltà attuative del Piano Transizione 5.0, l’Osservatorio del Politecnico ha voluto quantificare il potenziale impatto ambientale positivo che una maggiore adesione all’iniziativa potrebbe generare. Attraverso un modello basato sulle intenzioni di adesione dichiarate dalle imprese (con scenari pessimistici, medi e ottimistici) e incrociandole con le fasce di riduzione dei consumi energetici previste dal decreto (dal 3% a oltre il 10%), sono stati stimati i potenziali risparmi annuali di emissioni di CO2 equivalente.

I risultati indicano che, nello scenario medio (adesione del 20% delle grandi aziende e del 10% delle PMI), si potrebbero ottenere risparmi annui compresi tra 400 e 1.300 chilotonnellate di CO2 equivalente (ktCO2eq). Rapportando questi valori alle emissioni totali del settore industriale italiano (stimate in 32.000 ktCO2eq nel 2023), l’impatto potenziale nello scenario medio varia da una riduzione dell’1,3% fino al 4,2%.

Nello scenario più ottimistico, con un’adesione elevata (25% grandi, 15% PMI) e interventi di efficientamento significativi, la riduzione delle emissioni industriali potrebbe teoricamente raggiungere il 9,6%. Si tratta di un impatto potenzialmente significativo, la cui realizzazione dipende però dalla capacità del sistema Paese di superare le barriere attuali, conciliando efficacemente gli obiettivi di sostenibilità ambientale con quelli di competitività economica, in un contesto geopolitico che rimane complesso.

“Al di là delle sfide attuative del Piano 5.0 – commenta Salvadori – la nostra analisi mostra che una sua piena implementazione potrebbe portare a benefici ambientali tangibili per il sistema Paese. Una maggiore adesione agli incentivi per la sostenibilità e l’efficienza energetica, abilitata dalle tecnologie digitali, ha il potenziale di ridurre le emissioni industriali fino a quasi il 10% nello scenario più ottimistico”.




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