Viaggio alla fine della filiera: la corsa a ostacoli delle imprese – LaConceria


È letteralmente un viaggio alla fine della filiera, quello che abbiamo fatto sul numero di aprile del nostro mensile. O una corsa a ostacoli, che le imprese del mondo pelle stanno affrontando. Perché dal 2020 si sono susseguiti shock economici e commerciali, con effetti pesanti sulle piccole e medie imprese, custodi di un sapere artigiano unico, ma spesso senza le risorse per resistere ai mutamenti. E le acque non sono ancora del tutto tranquille, vista la continua minaccia dei dazi. Ecco perché abbiamo provato a capire cosa sta succedendo, nell’approfondimento “Viaggio al termine della filiera”.

Alla fine della filiera

Ci siamo arrivati ma avremmo voluto scrivere altro. Dal distretto conciario di Solofra, dove il numero delle aziende è crollato da 300 a circa 50, fino a quello veneto. Che deve guardarsi bene dalla concorrenza straniera, in alcuni casi “favorita da incontrollate prassi di deregulation”, come ci dice Mirko Balsemin, che guida Nice di Zermeghedo. E poi quello toscano, dove l’aumento dei costi di produzione è uno degli aspetti più temuti. Nella calzatura, il modello conto terzi ha ormai mostrato i suoi limiti. Ma da quando i grandi brand del lusso hanno iniziato a tagliare gli ordini, i terzisti si sono trovati scoperti. La mancanza di marchi propri e i costi del lavoro più alti rispetto a Spagna e Portogallo, hanno aggravato la situazione. Anche lo storico distretto di San Mauro Pascoli, considerato l’ultimo baluardo delle griffe calzaturiere italiane, ha messo in mostra la generale sofferenza dell’area romagnola.

 

 

Come va alla pelletteria?

L’andamento della filiera della pelletteria non si discosta molto da quello calzaturiero, ma ha maggiormente risentito dello scossone procurato dalle inchieste milanesi sul caporalato, che hanno spinto i brand a privilegiare fornitori con produzione interna, escludendo i subappaltatori. In Toscana e Campania, il calo degli ordini ha decimato i piccoli laboratori e le aziende meno strutturate. Le Marche, invece, hanno subito una delle peggiori contrazioni occupazionali: tra il 2019 e il 2024, 4.415 addetti in meno, di cui 4.148 solo nella calzatura. Pesa chiaramente l’assenza di ricambio generazionale, e le difficoltà di accesso a investimenti rendono il futuro incerto. Con un rischio: al momento della ripresa, l’ecosistema produttivo sarà ancora in grado di rispondere alla domanda?

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