Nel dibattito sulle trasformazioni nel mondo del lavoro, anche gli studi legali sono chiamati ad interrogarsi su come costruire ambienti professionali inclusivi e orientati al benessere delle persone. In questo quadro, l’aggiornamento dei programmi di welfare rappresenta un elemento chiave per la crescita dell’organizzazione.
Un programma efficace di welfare non si limita soltanto ad offrire vantaggi economici o servizi accessori ma punta prima di tutto a supportare una cultura organizzativa che garantisca pari opportunità, rispetto delle diversità e una gestione consapevole delle esigenze di professionisti e dipendenti, libera da pressioni e dall’impatto negativo generato dalla diffusione incontrollata di bias cognitivi. Ma cosa intendiamo, quando parliamo di bias?
Il termine bias deriva dal provenzale antico biais (obliquo, inclinato), espressione usata in origine per definire i tiri storti nel gioco delle bocce e successivamente presa in prestito per indicare un pregiudizio o inclinazione mentale.
I bias cognitivi rappresentano delle distorsioni sistematiche che il nostro cervello utilizza come scorciatoie mentali per elaborare rapidamente le informazioni e prendere decisioni in tempi brevi, influenzando in modo inconsapevole giudizi e comportamenti che ne derivano.
I fattori condizionanti che portano a scelte poco obiettive e discriminatorie
Il loro studio rappresenta un campo di interesse non solo per chi opera nelle scienze sociali ma anche per chi si occupa di marketing e BD, finanza e gestione aziendale. Le complesse dinamiche quotidiane dei contesti lavorativi offrono infatti un terreno fertile per la diffusione incontrollata di bias congnitivi. Pressione del tempo, abitudini consolidate, comunicazione interna inefficace e processi decisionali poco strutturati, uniti alla tendenza naturale delle persone a cercare conferme alle proprie convinzioni, possono portare facilmente a scelte poco obiettive e talvolta discriminatorie, che contribuiscono a nutrire una cultura disfunzionale. I molteplici effetti di questo fenomeno possono influenzare recruiting, selezione del personale, valutazione delle performance, assegnazione dei compiti, gestione dei clienti e tanto altro, compromettendo l’efficacia complessiva dell’organizzazione.
Il ruolo dei consiglieri di fiducia, figure ancora poco diffuse nel settore privato
Sbarazzarci di questi “cortocircuiti mentali” è impossibile, fanno parte della nostra natura. Ma comprenderne cause e meccanismi di diffusione può aiutarci a mitigarli. In questo contesto, un ruolo strategico è svolto dai consiglieri di fiducia, figure da tempo previste dalle raccomandazioni internazionali (Commissione Europea 92/131 del 27.11.1991 e risoluzione del Parlamento europeo A3-0043/1994) e integrate in diversi settori della PA (università, ospedali ed enti pubblici) ma ancora poco diffuse nel mondo degli studi professionali e più in generale nel settore privato.
Si tratta di consulenti esterni all’organizzazione, preferibilmente avvocate/i esperti in violenza di genere, mobbing e discriminazione di soggetti fragili, chiamati a prevenire violazioni del codice di condotta e a contrastare discriminazioni, comportamenti inopportuni, illeciti e molestie sui luoghi di lavoro, offrendo supporto anche nel monitoraggio dei processi decisionali che impattano su procedure di selezione, promozione e valutazione delle performance e nella promozione e divulgazione di programmi di formazione e aggiornamento in materia.
I vantaggi per gli studi professionali e le imprese che investono su questa figura strategica
I vantaggi per studi professionali e imprese che scelgono di puntare su questa figura strategica sono molteplici. Oltre all’investimento di tipo valoriale su engagement e brand reputation, sono inclusi anche benefici fiscali interessanti, procedure più snelle per la certificazione sulla parità di genere e più in generale numerosi vantaggi correlati allo sviluppo di politiche ESG compliant.
Nel caso specifico degli studi legali, i consiglieri di fiducia rappresentano un vero e proprio strumento di crescita organizzativa e produttiva, per costruire realtà sempre più inclusive, efficienti e competitive, in grado di generare un cambiamento collettivo e responsabile.
* Direttivo Mopi
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