USA vs CINA/ “Pechino ha un vantaggio, l’Ue perderà un’occasione d’oro”


Il punto di partenza è assodato: gli USA devono riequilibrare la loro bilancia commerciale. Il rimedio scelto da Trump, quello dei dazi, però, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, finora si è rivelato fallimentare. Tanto che adesso il presidente americano vuole trattare con i cinesi. Pechino, da parte sua, ha detto, con Xi Jinping, che in realtà il negoziato con gli americani è una fake news, anche se è probabile che ci siano contatti in corso tra le parti.



I cinesi nelle ultime ore avrebbero concesso l’entrata senza dazi nel Paese a prodotti farmaceutici USA, ma in generale vogliono che siano gli americani per primi a fare marcia indietro sulla questione. A chiedere un cambio di rotta a Trump è soprattutto l’economia reale statunitense: senza rapporti con la Cina, gli scaffali dei centri commerciali rischiano di rimanere vuoti a breve. Il problema, per lui, sarà come rimangiarsi i dazi senza perdere la faccia. Intanto dodici stati USA fanno causa perchè ritengono che il presidente americano non abbia il potere di imporre tariffe di questo genere.



Trump si è ammorbidito nei confronti della Cina e ora si dice disposto a trattare. Una marcia indietro rispetto alla politica dei dazi?

La Cina ha dichiarato che non ci sono trade talks tra le parti, a dimostrazione del fatto che la parte debole, in questo momento, sono proprio gli Stati Uniti. Quello che stiamo osservando è la sconfitta di Trump.

Partito con l’intemerata dei dazi il 2 di aprile, con quella tabella che sostanzialmente metteva gli USA contro il mondo, escludendo la Russia del suo amico Putin e la Corea del Nord, ha dovuto fare retromarcia da molteplici punti di vista. Ha dovuto mollare il colpo rispetto alle auto, poi si è comportato allo stesso modo con le Big Tech. Infine, ha dovuto sospendere i dazi per 90 giorni e dichiarare che Powell non poteva essere rimosso dalla FED. Mi sembra la dimostrazione che non è un giocatore di poker, ma un gaffeur mondiale.



Se ci limitiamo ai rapporti con la Cina, cosa lo ha convinto a chiedere di trattare, il giro di vite cinese sull’esportazione delle terre rare?

Quello che sta succedendo per gli Stati Uniti non è sostenibile. La Cina è il principale fornitore per moltissime categorie merceologiche in America. Se prendiamo i beni di largo consumo, andando avanti così, gli scaffali dei centri commerciali, la settimana prossima, saranno vuoti. Questo è un primo problema: le imprese importano semilavorati, sono in difficoltà.

Trump è chiamato a confrontarsi con la realtà. Produrre beni fisici è dura, non si può magicamente trovare sostituti dei fornitori attuali allo stesso prezzo: credo che il 90% dei condizionatori acquistati negli Stati Uniti provengano dalla Cina. Quest’estate gli americani dove li compreranno? Trump ha un problema gigantesco, comincia ad avere carenza di merci: non credo che Walmart abbia giacenze infinite.

Ma la Cina non sta a sua volta accusando il colpo a causa delle nuove tariffe trumpiane?

La Cina, secondo me, in questo momento si sente più forte e, infatti, reagisce dicendo che non se ne parla, che non c’è nessun dialogo in corso. A causa di questa operazione ha le ossa rotte, però, siccome non ha avviato lei questo processo, vuole che sia Trump a fare marcia indietro.

Il presidente americano vorrebbe ridurre i dazi dal 145% al 65%: riuscirà a trattare su questo?

Se questo è l’intento, non cambierà niente. Certo, toglierli è difficile, sarebbe una capitolazione totale rispetto alla sua sceneggiatura. Il dramma è che ora chi paga di più dazio sono gli Stati Uniti, che sono di gran lunga il Paese più penalizzato dalle iniziative di Trump. E, in questo senso, il presidente americano è un uomo sconfitto.

Questo rifiuto del dialogo da parte della Cina a cosa porta?

Pechino, nella negoziazione, vuole mettere il peso della marcia indietro tutto su Trump. Non vuole trattare sul 60% per arrivare a un’ulteriore riduzione dei dazi e sentir dire da Trump che i cinesi lo hanno implorato. Sono convinto che, in realtà, le parti stiano negoziando, quindi che il presidente americano dica la verità, ma sono altrettanto convinto che i cinesi non vogliono rimetterci dal punto di vista dell’immagine.

I cinesi hanno la forza per opporsi ai dazi. E gli altri? L’Unione europea, ad esempio?

L’Europa, paradossalmente, nel momento in cui USA e Cina mantengono questo atteggiamento di confronto-scontro, potrebbe giocare una partita da arbitro che valorizzerebbe non poco il suo ruolo. Ci vorrebbe qualche leader in grado di intestarsi questa operazione. Il tema, sotto questo aspetto, è la debolezza della Von der Leyen, che non è in grado di affrontare partite così complesse. Può essere forse un politico d’ordine, ma non mi pare abbia le caratteristiche per affrontare oceani in tempesta come quelli che stiamo affrontando oggi.

C’è anche un problema di tempi? Questa storia dei dazi fino a quando può andare avanti senza che i danni diventino irreparabili o comunque difficili da rimediare?

I danni ci sono già e derivano dal clima di crescente incertezza, che, fino a quando ci sarà Trump, impatterà sulle decisioni di investimento di qualsiasi progetto industriale. Se poi dovesse tornare indietro sulle tariffe, sarebbe addirittura peggiorativo della situazione. Va poi considerato l’impatto sulla reputazione degli Stati Uniti: siamo definitivamente usciti da un mondo in cui sono il faro positivo.

Infine, si ha un effetto simile a quello del Covid: tre settimane di fermo tra Cina e USA richiederanno almeno due mesi per riprendersi. Trump è partito da una situazione oggettiva di squilibrio commerciale, ma, con questa manovra così brutale, ha sbagliato tutto. Però c’è già l’effetto dell’inflazione: i prezzi aumenteranno in America e non solo.

Chi lo sta facendo recedere, almeno in parte, è la sua stessa economia? Chi lo sta convincendo almeno a modificare la rotta?

Credo che ci siano tre principali categorie di attori: l’economia reale, le Big Tech, che sono state tra i suoi principali elettori, e le imprese che hanno catene di fornitura con la Cina, che sono tantissime. Tutti questi gli hanno già detto che deve fermarsi. Il problema è come Trump riuscirà a uscirne senza perdere la faccia: questo è il vero tema.

(Paolo Rossetti)

 

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