Nuovi equilibri mondiali: le Pmi pagheranno il prezzo più alto


Recessione: una flessione nello sviluppo o, addirittura, un regresso nell’attività economica che, se di breve durata, può considerarsi un’oscillazione occasionale del movimento d’ascesa, oppure può preludere ad una vera e propria crisi, cioè alla depressione come fase discendente finale del ciclo economico.


Flessione, oscillazione e depressione: le economie dell’Eurozona e quella italiana, le più esposte ai dazi americani proprio perché più sensibili agli scambi globali, si trovano a dover fare i conti con un mix di fattori che rischia di portare a quello che Confartigianato definisce “un nuovo (dis)ordine mondiale”. E sarà il manifatturiero italiano, con il suo ecosistema di piccole e medie imprese, a dover affrontare il maggiore impatto di un intreccio fatto di supply chain sempre più deboli, politiche di riarmo europeo, espansione fiscale della Germania e conflitti (Ucraina e Medio Oriente).

MANIFATTURA SOTTO ATTACCO

Il nostro Paese è il terzo paese esportatore dell’Unione europea dietro a Germania e Paesi Bassi, ma è il primo per valore esportato dalle imprese con meno di 50 addetti. L’Italia, inoltre, è la seconda economia manifatturiera nell’UE, dietro alla Germania, ma diventa la prima per occupati nelle piccole imprese manifatturiere.

SCENDE IL LIVELLO DI FIDUCIA DELLE IMPRESE

L’indice di fiducia delle imprese italiane continua a scendere. Le previsioni di crescita del Pil di Governo e Banca d’Italia non aiutano: 0,6% per il 2025 e 0,8% per il 2026. Sulla revisione al ribasso pesa una minore crescita di 0,4 punti percentuali all’anno nel 2025 e 2026.

La politica commerciale degli Stati Uniti, d’altronde, sta già incidendo pesantemente sulla flessione delle esportazioni: -0,4% nel 2024, +1,6% nel primo bimestre del 2025, +0,1% in aprile. Ben al di sotto di quanto previsto dal Governo nel mese di settembre di quest’anno: + 3,1%.

La bassa crescita compromette la buona performance dell’economia italiana degli ultimi tre anni: ricordiamo, infatti, che tra il 2021 e il 2024, il Pil procapite è cresciuto del 6,7%, un tasso doppio del +3,3% della media dell’Eurozona.

RISTAGNANO LE ATTESE SUGLI ORDINI

Nel primo bimestre 2025 l’indice dell’attività manifatturiera diminuisce del 3,2% su base annua. Le flessioni più ampie si registrano nella moda (-12,7%), nella meccanica (-6,2%) e nella produzione di autoveicoli (-34,9%). La crisi dell’automotive, dominata dalla recessione della Germania, dalle incertezze della transizione alla mobilità elettrica e ora amplificata dai dazi statunitensi, colpisce un esteso indotto dominato dai settori della meccanica, quelli dei prodotti in metallo, dei macchinari e della metallurgia.

EPPURE, LE PMI ALIMENTANO L’OCCUPAZIONE

Nel mese di febbraio 2025, l’occupazione aumenta del 2,4%, i dipendenti permanenti del 3,4% e i lavoratori indipendenti del 2,8%. Ma l’indebolimento del quadro macroeconomico potrà frenare il dinamismo del mercato del lavoro: l’effetto dei dazi statunitensi potrebbe tagliare 33mila occupati nelle imprese manifatturiere italiane.

E IL CREDITO? LA DEBOLEZZA DEL PIANO TRANSIZIONE 5.0

Il Consiglio direttivo della Bce ha ridotto ulteriormente i tassi di 25 punti base sull’onda di un “processo disinflazionistico ben avviato”. Seppur il costo del credito per le imprese italiane sia sceso al 4,12% nel febbraio 2025 (a gennaio era al 4,28%), questo supera di 249 punti basi il livello precedente alla stretta monetaria. Le imprese investono con particolare cautela: su questa scelta non pesano solo gli elevati oneri finanziari, ma anche la scarsa efficacia del Piano Transizione 5.0. Al 17 aprile 2025, infatti, solo l’11,2% dei 6,2 miliardi di euro di risorse disponibili per il credito di imposta è stato prenotato e utilizzato dalle imprese.

Eppure, il Piano avrebbe potuto sostenere investimenti per l’innovazione, la digitalizzazione, l’efficienza energetica e la crescita della produttività, controbilanciando gli effetti della politica monetaria deflazionistica che nel corso del 2024 ha indotto una riduzione degli investimenti in macchinari e impianti di 3,8 miliardi euro.

IL RUOLO DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

L’attività edilizia rimane sostenuta dagli investimenti in fabbricati diversi dalle abitazioni, e altre opere, che nel 2024 salgono dell’8,6%: un aumento in larga parte attivato dalla spesa del Pnrr. La tempistica dell’attuazione degli interventi diventa strategica per il sostegno dell’economia reale: come emerge dallo stato di avanzamento esaminato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, a poco più di un anno dalla scadenza, pur essendo attivato circa il 95% della dotazione complessiva del Piano, rimangono da spendere 130,3 miliardi di euro.

SALGONO ANCORA I PREZZI DELL’ENERGIA

I segnali di tensione si fanno sentire anche sul mercato energetico: in Italia, i rialzi di inizio anno sui mercati all’ingrosso del gas europeo hanno fatto lievitare i prezzi di energia elettrica e gas dell’8,8%, rispetto ad un anno prima, contro il +2,5% della media dell’Eurozona. La Banca d’Italia, per quest’anno, prevede una crescita delle quotazioni sul mercato europeo del gas addirittura del 25,7% su base annua.



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