La filiale del Credito Valtellinese di Aci Trezza sarebbe stata la centrale della frode
Nell’ambito di complesse attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica, i finanzieri del comando provinciale di Catania hanno dato esecuzione a un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro preventivo diretto e per equivalente delle somme e dei beni, fino a concorrenza dell’importo di euro 1,421 milioni nella disponibilità di 15 persone, a vario titolo indagate, per i reati di associazione per delinquere, truffa e autoriciclaggio aggravato.
Le indagini, condotte dalla compagnia di Acireale mediante accertamenti bancari, acquisizioni documentali, escussione di persone informate sui fatti e servizi di osservazione, avrebbero consentito di far emergere un sistema di frode in danno del Credito Valtellinese, istituto bancario del gruppo Crédit Agricole Italia.
Le investigazioni hanno preso avvio quando la procura ha chiesto di esaminare in dettaglio le criticità rilevate in merito alla concessione di circa 170 finanziamenti “al consumo”, tutti erogati da una singola filiale in appena nove mesi ed esclusivamente in favore di clienti di nuova acquisizione. Il disegno fraudolento sarebbe stato caratterizzato da una strategia complessa e organizzata, con la chiara definizione di ruoli e posizioni differenti.
Tutti i nomi
Tre persone (Laura Antonia Landolina, Dario Mazzero e Antonio Soro) avrebbero avuto il compito di procacciare nuovi clienti alla filiale di Aci Trezza, spacciandosi per mediatori finanziari dell’istituto bancario. Poi ci sarebbero stati dieci datori di lavoro fittizi, il cui compito sarebbe stato quello di assicurare la produzione di documenti falsi propedeutici all’erogazione del finanziamento. Si tratta di Sebastiano Alessandro Campisi, Ilaria Andrea Caponnetto, Mario Finocchiaro, Carmela Inserra, Lucrezia La Rocca, Giuseppe Nassi, Samuel Simone Paternò, Antonio Serrano, Livio Sorrentino e Daniele Barone. Infine Giuseppe Romano, direttore, e Giuseppe Spoto, dipendente della filiale, avrebbero avuto il ruolo di avallare le richieste di finanziamento.
Lo schema della frode
Il meccanismo di frode si sarebbe basato su uno schema operativo ricorrente. In primo luogo, i tre procacciatori avrebbero individuato persone in condizioni di grave difficoltà economica, persuadendole ad aprire un conto corrente in filiale con la promessa di poter ottenere finanziamenti senza la necessità di fornire garanzie. Successivamente, tali “intermediari” si sarebbero rivolti ai fittizi datori di lavoro con l’intento di ottenere la redazione di documentazione fraudolenta necessaria a giustificare le richieste di finanziamento.
In particolare, sarebbero state emesse false buste paga e falsi modelli di certificazione unica. A tali falsificazioni si sarebbe aggiunta l’effettuazione di bonifici, accompagnati da causali mendaci come “emolumenti”, in favore dei nuovi correntisti. Questi ultimi tuttavia non avrebbero mai prestato alcuna attività lavorativa presso le suddette imprese, rendendo così del tutto fittizi e privi di valore giuridico i documenti in questione.
Infine, la documentazione necessaria per la richiesta di finanziamento sarebbe stata presentata dagli “intermediari” presso la filiale bancaria ove un dipendente si sarebbe occupato di predisporre la documentazione in conformità con i requisiti dell’Istituto, che fungeva da facciata per la Banca. Il direttore della filiale avrebbe giocato un ruolo fondamentale, essendo responsabile dell’approvazione dei finanziamenti. Per le richieste di importo fino a 30mila euro era sufficiente il suo consenso, senza necessità di autorizzazione da parte della Direzione centrale. Tutti i finanziamenti presentati nell’ambito del meccanismo di frode erano di importo inferiore a tale soglia, facilitando così l’approvazione e l’erogazione delle somme richieste.
Al momento della concessione del finanziamento, i nuovi correntisti sarebbero stati informati della necessità di erogare cospicue somme a titolo di «spese extra per l’interessamento». Contestualmente all’accreditamento del finanziamento, una parte delle somme erogate sarebbe stata pertanto prelevata dal conto corrente appena aperto, sia in contante che mediante bonifici e assegni circolari.
Il denaro trattenuto sarebbe stato poi distribuito tra i soggetti coinvolti nel reato, alimentando così il profitto illecito generato dall’intera operazione. Le suddette condotte, in violazione dei principi di trasparenza nelle operazioni finanziarie, avrebbero causato gravi danni all’istituto di credito Creval spa, atteso che i finanziamenti erogati, dopo il pagamento di alcune rate, sarebbero risultati insoluti.
Giuseppe Spoto, Laura Antonia Landolina, Giuseppe Romano e Dario Mazzeo, dopo essere entrati in possesso delle somme costituenti il profitto delle truffe commesse, avrebbero proceduto a investire le somme illecitamente ricevute.
La procura e il gip indagano per truffa, associazione a delinquere e autoriciclaggio. Quest’ultimo reato per Spoto e Romano aggravato dall’avere commesso il fatto nell’esercizio dell’attività bancaria o finanziaria. Nei loro confronti è stato disposto il sequestro di 1,421 milioni di euro, pari all’importo dell’illecito profitto dei reati contestati.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
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