Le imprese digitali mostrano una forte vocazione all’innovazione, con investimenti in R&S significativamente superiori alla media. Tuttavia, l’accesso e l’utilizzo del credito d’imposta rimangono sfidanti, richiedendo un adattamento normativo per rispondere meglio alle dinamiche del settore.
Sono, questi, i primi risultati dell’Osservatorio SPIRE – Strategic Practices for Innovation & Research Enablers – un’iniziativa promossa dal centro di ricerca interdisciplinare “Institute for Transformative Innovation Research” (ITIR) dell’Università di Pavia, in collaborazione con i partner LEYTON Italia e GDC Corporate & Tax.
L’osservatorio SPIRE: un’iniziativa per comprendere gli abilitatori all’innovazione
L’obiettivo dell’Osservatorio è raccogliere dati per comprendere meglio i cosiddetti “abilitatori alla ricerca e innovazione”, sia di natura istituzionale (es. benefici fiscali) che aziendale (es. iniziative per sviluppare una cultura orientata all’innovazione). Un focus particolare è dedicato alle imprese digitali, che spesso incontrano difficoltà nell’accesso a tali benefici a causa della natura iterativa e meno formalizzata dei loro processi di innovazione.
Nel corso dell’ITIR Summit 2025 – che ha visto la partecipazione di oltre 600 persone in presenza, fra ricercatori e manager d’impresa – sono stati presentati, tra le altre cose, alcuni primi risultati dell’Osservatorio. Li proponiamo qui in questo articolo, insieme ad alcuni ulteriori elementi in esclusiva per Agendadigitale.
Tali primi risultati si concentrano sulla misura del “credito d’imposta per ricerca e sviluppo e innovazione”, introdotta in Italia per la prima volta con il Decreto 23 dicembre 2013, n. 145. Nel periodo 2017-2020, questa agevolazione poteva coprire fino al 50% delle spese sostenute per l’innovazione. Tuttavia, nel tempo la misura ha subito diverse modifiche e aggiornamenti, che generalmente hanno ridotto l’entità del beneficio. Questo abilitatore istituzionale all’innovazione è stato oggetto di un acceso dibattito e ha generato incertezze applicative, coinvolgendo in particolare alcuni settori, specie quelli legati all’economia digitale. Tali difficoltà hanno portato all’introduzione di una procedura di certificazione degli investimenti in R&S, innovazione tecnologica, design e ideazione estetica (D.P.C.M. 15 settembre 2023).
Ora è il momento di fare un primo bilancio su queste misure.
Metodologia e caratteristiche del campione analizzato
L’analisi preliminare in oggetto si basa su un dataset di 2.165 osservazioni relative a 1.059 aziende che nel periodo 2017-2024 hanno ricorso al credito d’imposta per ricerca e innovazione tecnologica. Tale database è stato da noi costruito e validato grazie a fonti primarie ottenute grazie a Leyton Italia ed integrato grazie ad una serie di dati secondari quale rielaborazione del centro ITIR. Si tratta di un campione distributo come in figura 1 e tabella 1, con riferimento – rispettivamente – alla dimensione aziendale e al settore di appartenza. Da notare, una significativa presenza di imprese legate ad attività digitali, a conferma del fatto che l’argomento è particolarmente “sentito” in questo ambito.
Fra l’altro, è stato creato un indicatore che abbiamo chiamato CRS%, calcolato come “credito d’imposta diviso per Investimenti totali in R&S nell’anno ‘t’ ”: tale misura esprime l’intensità di utilizzo del beneficio d’imposta, ossia quanto l’azienda ne fa effettivamente ricorso rispetto ai propri flussi d’investimento totali in innovazione.
Evidenze sul rapporto tra innovazione e benefici fiscali
La Tabella 2 fornisce una panoramica sintetica di alcuni indicatori emersi dalla nostra analisi. Il campione considerato si distingue per un’elevata propensione all’innovazione, ben oltre un utilizzo meramente strumentale del beneficio fiscale. Infatti, queste imprese investono in media l’11,8% del loro fatturato in ricerca e sviluppo, indipendentemente dal credito d’imposta.
Si tratta di un impegno significativo, soprattutto considerando che l’incidenza media della spesa in R&S sul fatturato in Italia varia notevolmente tra i settori industriali, ma comunque è più bassa rispetto al dato prima citato. Secondo i dati Invitalia, la media nazionale è dello 0,3%, con un incremento fino al 2,3% tra le imprese digitali. Il nostro campione, dunque, si caratterizza per investimenti ben superiori alla media, confermando una forte vocazione innovativa.
Ma in che misura queste imprese hanno usufruito del credito d’imposta per sostenere tali investimenti? In media, su base annua, il beneficio fiscale ha coperto il 12,4% degli investimenti in ricerca e sviluppo, pari all’1,9% del fatturato complessivo. Questo dato suggerisce che il credito d’imposta non è stato sfruttato in modo distorto o eccessivo, né tanto meno in maniera sospetta.
Nel tempo, l’intensità di utilizzo del credito d’imposta per la ricerca (CRS%) ha mostrato un andamento altalenante, seguendo un trend di complessiva riduzione nel tempo (vedi figura 2).
La tabella 3 evidenzia come varia l’indicatore CRS% nei diversi settori industriali e segnala significative differenze nell’utilizzo del credito d’imposta per la ricerca nei diversi comparti. Il settore con la maggiore intensità di utilizzo è proprio quello della programmazione, consulenza informatica e attività connesse (62), con un CRS% del 20,0%: ciò segnata tanto una forte propensione agli investimenti in R&S, quanto un alto grado di sfruttamento delle agevolazioni fiscali disponibili. Non sorprende quindi che sia un comparto che si è contraddistinto per un vivo dibattito sull’effettiva possibilità di utilizzo di questa misura, vista talvolta la difficoltà di qualificare la ricerca e sviluppo nel comparto digitale.
Infatti, l’innovazione in questo ambito è molto più fluida, repentina, informale e non lineare, rispetto a settori innovativi “classici”, come l’elettronica o il settore farmaceutico. Non sempre la normativa, secondo le evidenze raccolte dal nostro osservatorio, ne tiene conto in modo adeguato.
Con riferimento alla dimensione aziendale, sono le imprese più grandi quelle che tendono a far maggiore ricorso al credito d’imposta, forse grazie ad una maggiore strutturazione amministrativa e finanziaria (vedi tabella 4).
La relazione tra utilizzo del credito d’imposta e performance aziendale
Infine, abbiamo analizzato la relazione tra l’intensità di utilizzo del credito d’imposta per la ricerca e sviluppo e la performance aziendale, misurata attraverso la crescita media del fatturato nel periodo 2020-2023. Abbiamo suddiviso il campione in due sottogruppi: imprese con un alto tasso di crescita e imprese con un tasso di crescita più contenuto. L’analisi evidenzia che le aziende con performance elevate tendono a utilizzare il credito d’imposta in modo più strutturato, mentre quelle con una crescita medio-bassa sembrano incontrare maggiori difficoltà nell’integrarlo efficacemente nella propria strategia finanziaria, oppure mostrano un interesse più limitato (CRS% = 11,47%). Il test “t” conferma che la differenza tra i due gruppi è statisticamente significativa. Resta tuttavia aperta la questione circa il rapporto causale: è nato prima l’uovo o la gallina? Ossia, il credito d’imposta stimola effettivamente l’innovazione e, di conseguenza, il miglioramento delle performance aziendali? Oppure sono le imprese già più performanti a trovarsi in una posizione privilegiata per sfruttare al meglio questa opportunità fiscale? Con le prossime analisi proveremo ad approfondire la questione.
Conclusioni e prospettive per l’innovazione nel settore digitale
Alla luce delle nostre analisi, il credito d’imposta per la Ricerca e Sviluppo si conferma un incentivo efficace per stimolare l’innovazione, favorendo investimenti e progetti in ambito tecnologico e scientifico. Stiamo inoltre raccogliendo evidenze che confermano empiricamente la bontà del meccanismo di certificazione – che approfondiremo nel prossimo articolo – non solo come strumento di compliance, ma anche come leva di autovalutazione capace di innescare processi virtuosi di miglioramento nelle metodologie e nei modelli di gestione della Ricerca e Sviluppo. Questa funzione si rivela particolarmente preziosa in un’attività che, soprattutto nelle PMI, tende a essere troppo destrutturata e priva di una governance adeguata. Infatti, non si deve confondere la naturale libertà e flessibilità che deve assolutamente contraddistinguere un processo creativo ed inventivo come la ricerca e sviluppo con l’assenza di disciplina e competenze ad hoc. La gestione dell’innovazione richiede infatti un equilibrio tra questi aspetti, evitando che l’autonomia progettuale si traduca in inefficienza o mancanza di strategia e visione.
Un esempio emblematico è il comparto digitale, il quale ha sviluppato modelli peculiari – come l’agilità strategico-organizzativa, il lean management, la commistione fra ricerca ed execution, etc. – che talvolta sfuggono al legislatore e che paradossalmente si stanno diffondendo sempre più anche in altri settori. Questi approcci non solo hanno una loro straordinaria dignità innovativa, ma rappresentano anche paradigmi efficaci per accelerare lo sviluppo e la scalabilità delle imprese. In questo contesto, sarebbe auspicabile un dibattito più approfondito su come integrare tali dinamiche all’interno dei riferimenti normativi consolidati, come i principi del Manuale di Frascati e le linee guida interpretative, garantendo così un quadro di regole più inclusivo e aderente alle evoluzioni dell’ecosistema innovativo digitale.
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