L’articolo 4, D.Lgs. 216/2023, ha introdotto, per i titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni, un’agevolazione volta a favorire l’incremento occupazionale, mediante il riconoscimento di una maggiorazione del costo del personale deducibile ai fini Ires, in presenza di nuove assunzioni di dipendenti a tempo indeterminato. L’agevolazione, inizialmente prevista per il solo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, è stata prorogata dalla Legge di Bilancio 2025 anche per i 3 periodi d’imposta successivi (rendendola applicabile, così, ai periodi d’imposta 2024, 2025, 2026 e 2027 per i soggetti “solari”).
Le disposizioni attuative dell’agevolazione sono state emanate con il D.M. 25 giugno 2024 (di seguito il “Decreto”), la cui Relazione illustrativa contiene chiarimenti ed esempi applicativi. Al fine di poter beneficiare dell’agevolazione, è richiesta la realizzazione delle 2 seguenti condizioni:
- il numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato al termine del periodo d’imposta agevolabile deve essere superiore al numero di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato mediamente occupato nel periodo d’imposta precedente (c.d. “incremento occupazionale”);
- il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, inclusi quelli a tempo determinato, al termine del periodo d’imposta agevolabile deve essere superiore al numero complessivo dei lavoratori dipendenti mediamente occupato nel periodo d’imposta precedente (c.d. “incremento occupazionale complessivo”).
Ai sensi della disposizione normativa, si verifica un “decremento occupazionale complessivo” in caso di decremento del numero complessivo dei lavoratori dipendenti, inclusi quelli a tempo determinato, alla fine del periodo d’imposta agevolato rispetto al numero dei lavoratori dipendenti mediamente occupato nel periodo d’imposta precedente. Verificata la sussistenza delle suddette condizioni, l’agevolazione è calcolata maggiorando del 20% (o del 30%, in ipotesi di assunzione di categorie di lavoratori meritevoli di tutela) il minore tra:
- il costo effettivamente riferibile al personale di nuova assunzione a tempo indeterminato, come risultante dalla voce b.9 del Conto economico;
- l’incremento del costo complessivo del personale, classificabile nella medesima voce rispetto all’esercizio precedente al periodo d’imposta agevolato (in sostanza, il differenziale della voce b.9 del Conto economico).
Le modalità di determinazione dell’incremento occupazionale, dell’incremento occupazionale complessivo e del decremento occupazionale complessivo, con le relative sterilizzazioni di calcolo, sono disciplinate dall’articolo 4, Decreto, mentre le modalità di determinazione del costo agevolabile, con le relative sterilizzazioni di calcolo, sono disciplinate dall’articolo 5, Decreto.
Con riferimento ai gruppi di imprese, il D.Lgs. 216/2023 dispone che “l’incremento occupazionale va considerato al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto”. A tale riguardo, il Decreto stabilisce che le società appartenenti a un gruppo e residenti in Italia (c.d. “gruppo interno”), al fine di accedere all’agevolazione, devono verificare le suddette condizioni (incremento occupazionale e incremento occupazionale complessivo) non solo individualmente, ma anche con riferimento al gruppo interno.
L’articolo 5, comma 8, Decreto, stabilisce, altresì, che ogni soggetto appartenente al gruppo interno determina il beneficio riducendo il costo da assumere ai fini della maggiorazione di un importo pari al prodotto tra:
- il minor costo tra quello effettivo riferibile ai nuovi assunti a tempo indeterminato e l’incremento del costo complessivo del personale; e
- il rapporto tra il decremento occupazionale complessivo verificatosi nel gruppo interno e l’incremento occupazionale complessivo verificatosi nei soggetti a cui spetta la maggiorazione del costo.
Ad esempio, se in un gruppo interno, composto da 3 imprese, (i) la società A realizza un incremento occupazionale di 4, con un costo agevolabile di 100.000, (ii) la società B realizza un incremento occupazionale di 2, con un costo agevolabile di 50.000, mentre (iii) la società C realizza un decremento occupazionale di 3, si avrà che le società che possono accedere all’agevolazione sono A e B, ma il costo agevolabile dovrà essere ridotto dalle stesse società per i 3/6 (dunque per la metà), quale rapporto fra il decremento occupazionale complessivo di gruppo e l’incremento occupazionale complessivo di gruppo.
Poste tali premesse, si intende porre l’attenzione su una questione rilevante per i gruppi di imprese che, allo stato attuale, risulta essere ancora incerta, proprio a seguito dell’esempio riportato nella Relazione illustrativa (pag. 13) in merito alle modalità di calcolo della riduzione del beneficio in ipotesi di decrementi occupazionali riguardanti una o più d’una società inclusa nel gruppo interno.
L’esempio riguarda il gruppo composto dalle seguenti imprese:
- società A, che nell’anno 2024 ha assunto 50 dipendenti a tempo indeterminato;
- società B, che nell’anno 2024 ha assunto 90 dipendenti a tempo indeterminato e licenziato 10 dipendenti;
- società C e D, neutrali ai fini del calcolo.
In questo quadro, le condizioni per l’accesso all’agevolazione sono verificate:
- a livello di gruppo interno, essendovi state 140 assunzioni complessive a fronte di 10 licenziamenti;
- a livello individuale, dalle società A (incremento occupazionale complessivo di 50 unità) e B (incremento occupazionale complessivo di 80 unità).
Non essendosi realizzato un decremento occupazionale in nessuna delle società del gruppo, il costo agevolabile per le società A e B non dovrebbe subire alcuna riduzione. Piuttosto incomprensibilmente, l’esempio a cui si fa riferimento considera, invece, il licenziamento dei 10 lavoratori effettuato dalla società B alla stregua di un “decremento occupazionale complessivo”, e riduce il costo agevolabile per A e B di una percentuale pari al 7,14% (rapporto fra i 10 lavoratori dipendenti licenziati e i 140 lavoratori neoassunti).
L’impostazione adottata nell’esempio, che potrebbe essere dovuta a un “incauto” richiamo ad un precedente esempio (pagina 8 della Relazione illustrativa), è tuttavia fortemente criticabile. Come visto, l’articolo 5, comma 8, Decreto, prevede che la riduzione del costo agevolabile debba essere calcolata sulla base del rapporto fra i “decrementi occupazionali complessivi” realizzati dalle altre società del gruppo interno e gli “incrementi occupazionali complessivi” realizzati dalle società agevolabili.
La norma richiede, pertanto, che al numeratore del suddetto rapporto vada inserito il “decremento occupazionale complessivo”, definito dallo stesso Decreto come il saldo originato dal differenziale fra il numero dei lavoratori a tempo indeterminato e determinato occupati al termine del periodo agevolato rispetto alla media occupazionale del periodo precedente (articolo 1, comma 1, lettera l), Decreto). Non vi è traccia, né nella normativa primaria, né nel Decreto, dell’obbligo di dover prendere in considerazione il numero dei lavoratori per i quali il rapporto di lavoro è venuto meno nell’esercizio, nell’ipotesi in cui nella medesima impresa si realizzi un incremento occupazionale complessivo (come avviene, appunto, nell’esempio riportato nella Relazione illustrativa per la società B, che licenzia 10 dipendenti nell’esercizio ma ne assume comunque 90).
Che non vi sia coerenza fra l’esempio in questione e la normativa di riferimento è altresì evidente anche ragionando in base alla ratio della disposizione (volta ad evitare distorsioni all’interno di un gruppo di imprese). La Relazione illustrativa specifica, infatti, che le previsioni di legge che dettano particolari condizioni di determinazione del beneficio per i gruppi di imprese rispondono alla logica di contenere le scelte di investimento in capitale umano, che “… potrebbero essere orientate a concentrare le assunzioni in alcune società del gruppo senza che vi sia un incremento della forza lavoro a livello complessivo”. Ne deriva che, se, come avviene nel caso illustrato, la società B incrementa la forza lavoro complessiva (pur a fronte di 10 licenziamenti), non vi è alcuna ragione affinché le società del gruppo agevolabili debbano essere penalizzate; d’altronde, se ragionassimo sotto una prospettiva stand-alone, sarebbe fuori di dubbio l’accesso all’agevolazione piena per la società B (ossia senza subire un’ulteriore decurtazione nel beneficio), e tale iniquità non pare trovare alcuna giustificazione di fondo.
Tra l’altro, lo stesso meccanismo di calcolo, effettuato in base all’approccio adottato nell’esempio citato, darebbe origine a nuovi dubbi applicativi. Infatti, se le interruzioni dei rapporti di lavoro (sia a tempo indeterminato sia determinato) sono collocate al numeratore del rapporto, preso a riferimento per rideterminare l’agevolazione per i gruppi di imprese, anche le assunzioni di lavoratori dipendenti a tempo determinato dovrebbero esservi allocate, riducendone l’impatto, ma ciò non sarebbe in linea con l’impianto normativo.
In conclusione, come sottolineato anche dai primi commentatori, sarebbe stato opportuno porre tempestivo rimedio alla evidenziata divergenza fra le norme, da una parte, e l’esempio della relazione illustrativa, dall’altro, così da superare ogni possibile dubbio interpretativo e una penalizzazione eccessiva per i gruppi di imprese che, virtuosamente, danno luogo a incrementi occupazionali. La rilevante incertezza che si è generata su tale aspetto rende lecito attendersi l’assenza di effetti pregiudizievoli per le imprese che hanno adottato la soluzione conforme al dettato normativo (in primis, in relazione alle sanzioni).
Né la Legge di Bilancio 2025, né il successivo Decreto Milleproroghe 2025, hanno, infatti, risolto la descritta distonia, e neppure l’Agenzia delle entrate ha dipanato il dubbio in occasione della circolare n. 1/2025 dove, nella sezione rubricata “determinazione della maggiorazione per il gruppo interno” (§ 3.2), si è limitata a richiamare l’esempio della Relazione illustrativa, nonostante la sua palese contraddizione con la normativa di riferimento. Persa l’ennesima occasione per provare a fare chiarezza su tale decisivo aspetto, si auspica, pertanto, in prossimità dell’imminente calcolo delle imposte, che il Legislatore, in via interpretativa o in sede parlamentare, ponga definitivamente rimedio all’incertezza.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link