Per valutare gli effetti sulle imprese italiane delle nuove politiche commerciali dell’amministrazione Trump, Confindustria Alto Adriatico ha organizzato un evento cui hanno partecipato Alessandro Fontana, direttore del Centro studi di Confindustria e Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera.
Per il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, «ci troviamo di fronte a una di quelle accelerazioni della storia per cui non sappiamo più esattamente quali siano i nostri punti di riferimento tradizionali dal Dopoguerra ad oggi, sia dal punto di vista geopolitico sia economico. Trump convoca tre conferenze stampa al giorno che modificano continuamente gli scenari» rappresenta un fattore di forte preoccupazione per le imprese italiane.
«Sono tra quelli che pensano che egli vada preso sul serio: potenzialmente sta destabilizzando il mondo», ha sottolineato Agrusti, sottolineando il rischio legato all’instabilità dei mercati finanziari e alle difficoltà di fare commercio su scala globale. Il riferimento diretto al Friuli Venezia Giulia è chiaro: «la nostra è una regione fortemente esportatrice, molte imprese erano rivolte verso la Russia. Ora dobbiamo comprendere come, a livello europeo e nazionale, ci riorganizzeremo per affrontare questa sfida».
Agrusti ha lanciato anche un monito sulla possibilità che alcune aziende possano essere attratte dalla fiscalità più vantaggiosa proposta dagli Stati Uniti: «mi auguro che ciò non accada, sarebbe un modo predatorio di affrontare la questione da parte degli USA. E non ho dubbi che uno degli obiettivi di Trump sia esattamente questo. Occorre resistere a questa semplificazione che andrebbe a vantaggio solo degli Stati Uniti. Di Trump». Guardando al futuro, Agrusti ha aggiunto «vogliamo pensare che saranno di nuovo nostri alleati».
Agrusti ha auspicato che vengano ribadite con forza le ragioni dell’Europa e dell’Italia all’interno dell’Unione Europea, ricordando come il tessuto industriale italiano, in particolare nei settori strategici della difesa – con Fincantieri e Leonardo, due pesi massimi della navalmeccanica e della difesa – possa e debba adattarsi alle nuove sfide, mantenendo competitività sui mercati internazionali.
Alessandro Fontana ha definito l’imposizione dei dazi USA come un «terremoto nelle relazioni produttive internazionali», paragonabile all’uscita dagli accordi di Bretton Woods del 1971 e allo “Smoot-Hawley Tariff Act” del 1930: gli Stati Uniti, pur essendo i primi a subire le conseguenze negative di questa politica come primo importatore mondiale, causerebbero infatti «ripercussioni significative sull’economia italiana, per la quale rappresentano la prima destinazione extra-UE di beni, servizi e investimenti diretti esteri, nonché il secondo mercato per i beni con il 10,4% del totale».
«Il settore manifatturiero italiano – ha detto Fontana – risulta particolarmente vulnerabile, con il 99,1% dei beni esportati verso gli USA nel 2024. Secondo le stime, l’export verso gli Stati Uniti attiva circa il 7% della produzione manifatturiera italiana, equivalenti a circa 90 miliardi di euro. In uno scenario con dazi USA al 10%, il PIL italiano subirebbe una riduzione dello 0,3% cumulato entro il 2026, mentre l’export totale si contrarrebbe di 4,1 miliardi di euro nel 2025 e di 7 miliardi cumulati a fine 2026. Si prevedono inoltre cali nei consumi delle famiglie, negli investimenti e una perdita di 62.200 unità lavorative cumulate nel 2026».
Secondo Fontana, sempre dati alla mano, i settori manifatturieri più colpiti sarebbero autoveicoli, macchinari e apparecchi e altre attività manifatturiere, con perdite complessive stimate in 11.754 milioni di euro. Lo scenario, secondo il Centro studi di Confindustria, potrebbe ulteriormente peggiorare in caso di svalutazione del dollaro, con il rischio di una recessione USA e una crisi globale del commercio internazionale.
«A lungo termine – ha aggiunto Fontana – c’è il pericolo di delocalizzazione da parte di imprese italiane negli Stati Uniti, con circa 80.000 aziende esportatrici potenzialmente sensibili a questa tendenza». Per mitigare questi rischi, Fontana suggerisce di «proseguire nella diversificazione dell’export, consolidare le alleanze commerciali, rendere più attrattivi l’Europa e l’Italia attraverso il mercato unico e la sburocratizzazione e promuovere gli investimenti produttivi».
Sulla stessa linea d’allerta l’analisi di Federico Fubini, che ha messo in luce un aspetto strutturale del cambiamento in corso, che «le tendenze in atto andrebbero avanti anche con attori diversi da Trump o Putin». Fubini ha osservato che le politiche commerciali dell’amministrazione Biden hanno sostanzialmente confermato – e in alcuni casi ampliato – quelle adottate durante il primo mandato di Trump, a riprova di un orientamento bipartisan negli Stati Uniti. Uno degli esempi più significativi è rappresentato dall’indebolimento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, bloccata di fatto da Trump con la mancata nomina del rappresentante statunitense presso l’organo di appello e mai riattivata da Biden.
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata.
Telegram
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian
X
© Riproduzione Riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link