Le intenzioni erano buone. Anzi, ottime. Perché è sempre molto importante pensare al futuro e promuovere l’innovazione. In un Paese come l’Italia, poi, creativo per definizione, l’idea di concedere incentivi fiscali alla ricerca e sviluppo deve essere subito sembrata ideale. E fu così che, nel 2015, fu introdotto il credito d’imposta per progetti di ricerca e sviluppo, al fine di favorire l’innovazione nel tessuto imprenditoriale nazionale e allineare il livello medio degli investimenti delle imprese italiane, pari allo 0,9% del Pil, alla media europea del 2-3 %. Ma, per diversi anni, le cose non sono andate come si sperava. Perché, in un Paese come l’Italia, c’è sempre un rovescio della medaglia.
In pratica è accaduto che, di fronte a un numero elevatissimo di domande, l’Agenzia delle Entrate si è spesso trovata ad avere dubbi sull’idoneità delle richieste formulate dalle imprese e questo ha portato al progressivo aumento delle controversie, peraltro di difficile soluzione.
«Il peccato originale del nostro sistema», spiega Andrea Jester, co-fondatore di NsbProject, società di consulenza specializzata nel trasferimento tecnologico e nel supporto alle imprese nei progetti di ricerca e sviluppo, «è stato quello di confondere l’investimento in nuove tecnologie con quello in R&D. Per correggere questa impostazione, si è quindi pensato che pensato di provare a modificare il dispositivo che, in sette anni, è stato cambiato praticamente ogni anno portando il credito d’imposta dal 50% iniziale all’attuale 10%». Stando così le cose, se ci confrontiamo con altri Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Germania e Danimarca), l’incentivazione fiscale italiana risulta assai meno stimolante: in quegli Stati, infatti, le agevolazioni fiscali per la ricerca e sviluppo si attestano mediamente attorno al 25%.
Il fulcro del nuovo approccio al problema è stato però un altro, ossia l’istituzione da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) di un Albo ufficiale dei Certificatori, composto da consulenti con comprovata esperienza in almeno 15 progetti di R&D nel corso degli ultimi tre anni. La certificazione da parte dei professionisti riconosciuti dal Mimit esonera le aziende dai controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, rendendo il processo più trasparente e rapido.
«La ricerca e sviluppo», commenta Jester, «ha bisogno di strumenti che garantiscano trasparenza e regolarità: per questo il ruolo dei certificatori è oggi più che mai fondamentale. Noi ci siamo iscritti all’Albo proprio per fornire alle imprese uno strumento di valutazione oggettiva basato su indicatori riconosciuti dalla comunità scientifica a livello internazionale. Attraverso un algoritmo proprietario, siamo in grado di misurare l’affidabilità dei progetti e di fornire una certificazione precisa che segue le linee guida del Manuale di Frascati adottato dal Mimit». Il Manuale di Frascati è un documento pubblicato per la prima volta nel 1963 e giunto, nel 2002, alla sua sesta edizione aggiornata, che stabilisce che definisce parametri per la valutazione della ricerca e sviluppo nei Paesi Ocse.
Secondo le indicazioni governative, l’eleggibilità dei progetti di R&S deve basarsi su cinque principi qualitativi fondamentali: innovatività (il progetto deve introdurre nuove conoscenze o tecnologie nel settore di riferimento), rischiosità (l’investimento deve presentare un certo grado di incertezza tecnica e scientifica), replicabilità (possibilità di applicare le soluzioni sviluppate in svariati contesti produttivi o tecnologici), sistematicità (il progetto deve seguire un metodo strutturato di ricerca) e creatività (nel progetto devono emergere elementi di originalità e di avanzamento tecnologico).
«La certificazione», dice Fabrizio Riccomi, Ceo e a sua volta co-founder di NsbProject, «è prima di tutto uno strumento per evitare contenziosi con l’Agenzia delle Entrate. Non è percepito come un bollino di qualità. Questo anche perché i criteri stabiliti dal governo sono qualitativi e quindi mettono sullo stesso piano aziende sofisticate o brand che operano sui mercati internazionali e danno lavoro a migliaia di persone e il bar di quartiere. Il nostro ruolo è quindi cruciale per garantire che i benefici fiscali siano assegnati solo a imprese che realizzano investimenti effettivi in R&D, migliorando la qualità complessiva delle iniziative incentivate».
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