le professioni più a rischio e quelle più ricercate


Milano, 27 aprile 2025 – Non rischiano solo sviluppatori di software e analisti di dati, ma anche ricercatori scientifici, contabili e revisori, ricercatori di mercato.

D’altra parte si aprono praterie per professioni emergenti, e sempre più richieste, come quella dell’esperto nella creazione di dati sintetici per addestrare modelli di IA senza violare la privacy, “addestratori“ di modelli di intelligenza artificiale per migliorare precisione e affidabilità, professionisti nella protezione dei dati e dei sistemi informatici. Un mondo del lavoro attraversato da profondi cambiamenti, con la formazione e l’evoluzione delle competenze che nei prossimi anni giocheranno un ruolo sempre più forte.

La ricerca

Secondo l’ultima ricerca Censis-Confcooperative, a livello nazionale sono circa 15 milioni i lavoratori esposti agli effetti dell’intelligenza artificiale. Sei milioni sono a rischio sostituzione, mentre 9 milioni potrebbero vedere o stanno già vedendo l’IA integrarsi con le loro mansioni. Le professioni più esposte alla sostituzione sono quelle “intellettuali automatizzabili” (contabili, tecnici bancari). Le professioni ad alta complementarità includono avvocati, magistrati e dirigenti.

Le donne sono più esposte degli uomini, il livello di esposizione aumenta con il grado di istruzione. Secondo la rilevazione, il 20-25% dei lavoratori utilizza strumenti IA sul luogo di lavoro: il 23,3% utilizza IA per la scrittura di mail, il 24,6% per messaggi, il 25% per la stesura di rapporti e il 18,5% per la creazione di curriculum.

I rischi

“Un conto economico in chiaro scuro quello che l’intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese – spiega Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative –. Il paradigma va subito corretto, la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa”.

Sistemi avanzati come Deep Research, un agente AI progettato per automatizzare l’analisi e la sintesi delle fonti, permettendo di ottenere report dettagliati in poche ore per un costo di soli 2.400 dollari all’anno, stanno intanto riducendo significativamente il lavoro umano nel campo della ricerca, della consulenza e dell’analisi dati.

“Se si è sempre creduto che l’intelligenza artificiale avrebbe sostituito per primi gli sviluppatori di software junior, i designer grafici, i traduttori e gli operatori di customer service oggi stiamo sempre di più realizzando che l’automazione sta rapidamente penetrando anche in ambiti meno prevedibili, come la ricerca scientifica, l’analisi di mercato, l’insegnamento, la contabilità e la revisione”, riflette Matteo Navacci, tra i fondatori di Privacy Week, media company che organizza la kermesse milanese sul diritto alla privacy.

“La realtà è che l’automazione non si limita più a supportare il lavoro umano, ma in molti casi ne riduce drasticamente il bisogno – sottolinea –. Aziende e istituzioni non avranno più bisogno di grandi team per analizzare dati, scrivere report o generare strategie: basterà un agente AI per gestire gran parte del processo”.

Europa “lumaca”

In questo ambito, quindi, l’Europa rischia di rimanere indietro. Mentre Stati Uniti, Giappone e Cina investono miliardi nello sviluppo di intelligenze artificiali sempre più sofisticate, “l’Unione Europea introduce regolamentazioni sempre più stringenti” come l’IA Act che “con le sue 140 pagine di restrizioni, sembra più concentrato a definire cosa non si può fare, piuttosto che incentivare l’innovazione”.

Una sfida sul tavolo per i prossimi anni, visto che secondo le previsioni si stima che entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato, rischiando di creare nuove sacche di disoccupati.



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