Nei giorni scorsi, la Regione ha varato il sostegno al reddito degli agricoltori di montagna e alle imprese in aree svantaggiate, raddoppiando le indennità compensative per le imprese agricole di montagna, tramite lo Sviluppo Rurale 2023-27.
Una notizia accolta in modo positivo dalla maggior parte degli agricoltori.
«Si tratta di un importante intervento, ma non basta a risollevare un settore in crisi». Lo pensa l’imprenditore agricolo castelnovese, Roberto Malvolti.
Ma cosa prevede l’intervento della Regione? In primo luogo, è previsto l’aumento delle indennità compensative ad ettaro nelle aree svantaggiate montane e non montane per sostenere il reddito degli agricoltori. Per le aziende in zone montane l’importo massimo riconoscibile ogni anno per ettaro di superficie passa da 200 a 300 euro per le imprese agricole zootecniche e da 125 a 200 per le altre imprese. Per quanto riguarda le aziende collocate in altre zone naturalmente svantaggiate. L’importo massimo riconoscibile per ettaro di superficie agricola per anno passa da 60 a 150 euro.
L’altro fronte di intervento riguarda il ricambio generazione e gli aiuti ai giovani agricoltori che decidono di stabilirsi in queste aree. Il contributo per l’insediamento passa da 60mila a 70 mila euro.
L’intervista a Roberto Malvolti
Signor Malvolti, qual è lo stato dell’agricoltura in montagna?
Innanzitutto, prendo atto che vi è una maggior interesse per l’agricoltura in montagna.
Ma vorrei però portare all’attenzione della classe dirigente e dei presidenti delle associazioni di categoria che l’agricoltura, soprattutto in montagna, vive momenti di grandissima difficoltà.
Da cosa derivano queste difficoltà?
Non possiamo continuare a pensare di sostenere l’agricoltura con contributi a fondo perduto, lasciando all’agricoltore il giusto margine per pagare eventuali investimenti ed accantonare somme per investimenti futuri.
Non si può continuare a fare da banca conferendo prodotti agricoli ed essere saldati a 12/24 mesi.
Insomma, non possiamo pensare di tenere aperto aspettando i contributi. Il contadino deve essere pagato per quello che produce. Mi chiedo, nel momento in cui finiranno questi contributi, cosa faremo. Chiuderemo?
Questo è un discorso che vale per tutti, non solo qui in montagna.
Ci poi sono le difficolta delle piccole e piccolissime imprese ad accedere al credito.
Sempre più spesso, gli istituti bancari “attaccati” ad algoritmi si avvalgono di “freddi” dati per valutare le pratiche ed eventualmente deliberare i finanziamenti
Quanto conta la difficoltà di reperire la manodopera?
Guardi, questo è un aspetto molto sottovaluto, in tutto il Paese. E’ difficile reperire mano d’opera, soprattutto di qualità. Soprattutto italiana. Questa è la principale causa delle chiusure delle piccole e piccolissime imprese agricole: innegabile che oggi il 70/80 % della forza lavoro è straniera, a volte persone che non hanno padronanza della lingua e della cultura montanara.
Forse bisognerebbe aprire scuole dedicate proprio alla mano d’opera straniera, atte ad insegnare la lingua e al rispetto della cultura e delle regole italiane.
In Italia, poi, non esiste professionalità. Mi chiedo: quanti giovani appena diplomati in questo settore hanno aperto una stalla o un’azienda agricola? Non c’è più cultura e le famiglie non insegnano quanto sia onorevole lavorare la terra. E’ un lavoro ormai che fa solo chi lo tramanda da generazioni. Se non si porrà rimedio, l’agricoltura morirà perchè sarà inglobata dalle grandi aziende.
E poi, in tutto questo, non sottovalutiamo il discorso del cambiamento climatico.
Cioè?
Il cambiamento climatico in corso non è riconosciuto da tutti. Io posso dire che chiudiamo l’orto biologico che dopo anni, proprio a causa del cambiamento climatico, è diventato ormai una rimessa. Vogliamo parlare del foraggio? Non si riesce più a fare un foraggio decente per la produzione di Parmigiano reggiano: sono due anni che viene comprato esclusivamente fuori perché il nostro è di pessima qualità. Perché nessuno lo dice?
Lei cosa propone?
Bisognerebbe fare un essiccatoio di comunità, con fondi europei. Un’idea che ho da tempo. Noi abbiamo una produzione di letame di altissima qualità che potrebbe essere utilizzato per produrre biogas (se si riuscisse ad avere i contributi).
Comunque, credo sia fondamentale che le classi dirigenti si fermino a riflettere e decidano di fare qualcosa perché di questo passo finirà la diversità delle produzioni. E finirà tutto, come dicevo prima, nelle mani dei grandi latifondisti.
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