Quali sono le novità contenute nella legge sulla rappresentanza al vaglio ora del Senato. Ma le opposizioni: «Testo originario svuotato»
Sindacati nei consigli di sorveglianza e nei consigli di amministrazione delle imprese, distribuzione degli utili ai dipendenti, piani di azionariato per distribuire azioni delle aziende ai lavoratori. Sono le novità introdotte dalla legge sulla rappresentanza che ha ottenuto il via libera della Camera dei Deputati con 163 voti favorevoli e 40 contrari. Gli astenuti sono stati 57. Ora, il testo passa al vaglio del Senato.
La proposta depositata dalla Cisl
Un testo nato da una proposta di legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento dalla Cisl a novembre 2023. Composto da15 articoli, ha l’obiettivo di «promuovere la contrattazione collettiva di primo e secondo livello come modalità per realizzare le logiche partecipative sui luoghi di lavoro auspicati dai costituenti», spiega via Po, illustrandone i contenuti.
Le novità del ddl
Oltre alle definizioni delle quattro forme di partecipazione (gestionale, economica-finanziaria, organizzativa e consultiva) inserite nel provvedimento, tra le principali novità figura la possibilità (ma non l’obbligo) per i rappresentanti dei lavoratori di entrare nei Consigli di sorveglianza delle imprese che adottano il sistema dualistico di governance e nei Consigli di amministrazione delle società sulla base delle modalità stabilite nei contratti, in conformità agli statuti.
Ancora, il testo regola anche la distribuzione degli utili aziendali ai dipendenti, introducendo un’imposta sostitutiva su questi redditi del 10% entro il limite di 5 mila euro annui lordi. Accanto, l’arrivo di un nuovo strumento partecipativo: i ‘piani di azionariato’, con l’attribuzione, su base volontaria, ai lavoratori dipendenti, di azioni delle imprese, anche in esecuzione di premi di risultato contrattati, con relativo vantaggio fiscale.
Le accuse dell’opposizione
Il Ddl ha ottenuto l’ok della Camera, nonostante le ferme critiche delle opposizioni. «La legge sulla partecipazione alla governance d’impresa è l’ennesimo disegno di legge svuotato dalla destra, dopo il pasticcio sul salario minimo», tuona il deputato Pd e segretario dem della Toscana Emiliano Fossi. «Il testo originario di iniziativa popolare, sostenuto dalla Cisl, è stato pesantemente modificato e considera la partecipazione con come un diritto costituzionale ma una gentile concessione delle aziende». Anche per la capogruppo del M5S in commissione Lavoro, Valentina Barzotti, «Siamo davanti a un provvedimento stravolto dalla maggioranza rispetto alla sua versione iniziale». «Noi avremmo votato contro anche se il testo non fosse stato così stravolto rispetto a quello originario della Cisl», commenta poi Franco Mari, capogruppo di Avs nella commissione Lavoro della Camera. «Noi votiamo contro lo spirito di questa legge. La destra non fa che parlare di contrattazione, hanno respinto le nostre proposte sulla riduzione dell`orario di lavoro e sul salario minimo perché, dicevano, erano contro la contrattazione».
La proposta diventerà davvero legge?
Quali probabilità ci sono che la proposta si concretizzi? «Bisognerà vedere se i consensi politico-sociali porteranno alla legge o daranno luogo all’ennesima insabbiatura perché per oltre settant’anni la norma della Costituzione è rimasta improduttiva di effetti e così inattuata», spiega l’avvocato Fabrizio Daverio, founding partner dello studio legale Daverio & Florio.
Due ideologie a confronto
Per quanto riguarda il focus sulla partecipazione dei lavoratori alla governance delle aziende, vi sono infatti da sempre due ideologie contrarie. La prima, afferma Daverio, «è costituita da alcune ben precise componenti sindacali che hanno sempre acceso un semaforo rosso sulla partecipazione», il secondo ostacolo ideologico, sempre secondo Daverio e «che si annida per lo più presso lo schieramento opposto, è “se i sindacati entrano nella governance le imprese saranno messe a repentaglio dall’interno”. Non si crede quindi alla professionalità dei membri sindacali e si sospettano interessi distorti». Secondo l’avvocato, «in realtà, entrambe le ragioni sono sbagliate in quanto i lavoratori guardano ai risultati ed è nel loro interesse che l’azienda vada bene. Ecco quindi che la Costituzione non può essere ancora disattesa e occorre riconoscere che la collaborazione e la partecipazione sono utili e fanno bene a tutti», conclude. Insomma, «chi lavora in un’azienda deve essere consapevole che lavora anche per sé, e per il proprio interesse (e non solo per un lontano azionista)».
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