La sostenibilità “utile” cammina sempre sulle gambe delle persone


L’organizzazione ESG: mini-guida su organi, funzioni e meccanismi operativi per promuovere e gestire il cambiamento verso risultati tangibili e duraturi

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In un precedente contributo (Blast del 5/2/25) abbiamo esplorato le ragioni per cui un approccio di “sostenibilità utile” – orientato al valore e non esclusivamente alla conformità normativa – rappresenti una leva strategica per le imprese; successivamente (Blast del 13/2/25), è stata sottolineata l’importanza di una accurata selezione dei temi di sostenibilità effettivamente rilevanti per l’organizzazione, della formulazione di un Piano di Sostenibilità coerente e della integrazione di quest’ultimo nel sistema MbO.

Al lettore attento non sarà sfuggito che tutti questi passaggi si fondano, in ultima analisi, sulla centralità del fattore organizzativo: senza una governance chiara dei ruoli chiave, senza organi aziendali e gruppi di lavoro in grado di gestire le iniziative ESG, la sostenibilità rischia di restare sulla carta, priva di energia operativa.

È per questo che ci piace affermare che la “sostenibilità utile” può realizzarsi quando “cammina sulle gambe delle persone”. Con questa espressione, che richiama un sentire comune secondo cui sono le donne e gli uomini a dare vita e forza agli obiettivi, vogliamo sottolineare come piani e strategie prendano forma concreta soltanto grazie al contributo di manager, professionisti, dipendenti e, più in generale, di tutti gli stakeholder interni ed esterni all’impresa.

Con il presente articolo ci si propone di analizzare la prospettiva organizzativa della sostenibilità aziendale. Dopo aver esaminato gli aspetti strategici e la pianificazione degli obiettivi ESG, risulta importante individuare i soggetti e le funzioni aziendali che, nelle imprese di ogni dimensione, assicurano il reale funzionamento dei processi per la sostenibilità. Ci soffermeremo sui principali ruoli formali (Chief Sustainability Officer, Sustainability Manager, ecc.) e organismi di governance (Comitato ESG a livello di organo amministrativo, comitati interfunzionali, gruppi di lavoro tematici, task force su progetti specifici), distinguendo fra soluzioni adatte alle PMI e strutture raccomandate per le imprese di maggiori dimensioni. Cercheremo altresì di evidenziare, ove opportuno, come prevenire alcune criticità di governance e come sostenere le iniziative ESG con metodologie e strumenti operativi concreti.

L’entrata in vigore di direttive come la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) e la definizione degli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) da parte dell’EFRAG hanno generato, in numerosi contesti nazionali, un’esigenza di compliance sempre più stringente. Le imprese chiamate a presentare la propria reportistica socio-ambientale devono riorganizzare non solo i propri processi di raccolta dati, ma anche una coerente struttura di governance. Al di là degli obblighi formali, il focus sulle performance ESG è divenuto centrale per ragioni di competitività e reputazione. Basti pensare al ruolo delle agenzie di rating ESG o al peso crescente che gli investitori istituzionali attribuiscono a parametri non finanziari, fino al coinvolgimento di banche e organismi di vigilanza nella definizione di vincoli di natura climate-related. È evidente che si è aperta una fase in cui la sostenibilità è al centro di un cambiamento strutturale, che richiede nuove competenze e nuove figure professionali dedicate.

La sostenibilità, per funzionare concretamente in un’impresa, necessita di una regia complessiva e di una diffusa responsabilità. Da un lato, è fondamentale individuare un centro di competenza e coordinamento, incaricato di definire politiche ESG e monitorare risultati; dall’altro, occorre che ogni funzione aziendale sia coinvolta per fornire il proprio contributo. In assenza di ruoli e comitati deputati a questo fine, le iniziative di sostenibilità rischiano di restare frammentarie o meramente formali, senza un impatto reale sul modello di business.

Diversi studi dimostrano che la semplice presenza di un Chief Sustainability Officer, di un Comitato Sostenibilità o di un Gruppo di Lavoro ESG aumenta la probabilità che gli obiettivi non finanziari vengano perseguiti in modo coerente.

La presenza di strutture dedicate, tuttavia, non mette al riparo da potenziali criticità nella governance ESG. In alcune aziende, infatti, il CSO ha un mandato formale di promuovere la sostenibilità ma non riesce a dialogare efficacemente con funzioni ritenute più “core”, come le Operations o la Finanza, a causa di priorità incompatibili o, ancora peggio, resistenze culturali. Per ovviare a tali ostacoli, è opportuno che la funzione sostenibilità trovi un forte allineamento con il vertice, per esempio ottenendo un supporto diretto dal CEO o da un Comitato di Amministrazione con delega ESG. In assenza di tali accorgimenti, le iniziative rischiano di arenarsi o di essere percepite come un mero esercizio di compliance.

La prima leva di integrazione della sostenibilità risiede nel Consiglio di Amministrazione o, comunque, nell’organo amministrativo aziendale. Se la sostenibilità è trattata come uno dei pilastri della visione strategica, l’intero board deve farsene carico. A livello di best practices, le imprese più strutturate istituiscono un Comitato Sostenibilità (o Comitato ESG) all’interno del C.d.A., con il compito di supervisionare il rispetto degli obiettivi ambientali, sociali e di governance, nonché di monitorare i rischi connessi ai mutamenti normativi e di scenario. Questo comitato coordina le politiche ESG con quelle di risk management e, in certi casi, interagisce con il Comitato Remunerazioni ed interviene nel sistema MbO (cfr. Blast del 13/2/2025: “Creare valore con la sostenibilità: dall’analisi di Doppia Rilevanza al Piano ESG integrato nel sistema MbO), affinché una quota del compenso variabile dei manager sia correlata ai risultati di sostenibilità.

Tra i ruoli organizzativi che rivestono un ruolo centrale per la sostenibilità, si è affermata la figura del Chief Sustainability Officer (CSO). Presente soprattutto nelle grandi imprese, il CSO ha un ruolo di raccordo strategico: traduce gli indirizzi dell’organo amministrativo in piani d’azione, promuove la cultura della sostenibilità e coordina le diverse funzioni (Finanza, Produzione, Risorse Umane, Marketing, Acquisti). In organizzazioni di minori dimensioni, tale responsabilità può essere assunta dal Sustainability Manager, che svolge una funzione simile ma con un coinvolgimento spesso più operativo, occupandosi di raccolta e analisi dei dati, contatto con enti certificatori, stesura del Bilancio di Sostenibilità e cura dei rapporti con gli stakeholder.

Un altro tassello di rilievo è rappresentato dai comitati interfunzionali o gruppi di lavoro ESG, costituiti spesso dai responsabili delle principali funzioni aziendali (Finanza, HR, Legal, Operations, Marketing, Ricerca e Sviluppo). Tali organi di coordinamento hanno lo scopo di creare flussi di comunicazione interna che consentano di sviluppare piani d’intervento coerenti, monitorare le performance e integrare progetti di trasformazione sostenibile nella gestione operativa.

L’esperienza dimostra che, in alcuni casi, possono sorgere dilemmi organizzativi se questi comitati mancano di una chiara leadership o se le funzioni coinvolte non hanno tempo o risorse sufficienti per dedicarsi ai progetti ESG; le riunioni rischiano di essere percepite come onerose e poco utili e la composizione dei comitati viene modificata più volte prima di pervenire ad una configurazione equilibrata. Accorgimenti come la formalizzazione di una periodicità fissa e di un ordine del giorno vincolante, unitamente a report sintetici post-riunione e chiari piani di azione possono aiutare a fronteggiare queste criticità.

Nel caso delle PMI, la sfida principale è l’accesso limitato a risorse finanziarie e competenze specialistiche. L’adozione di modelli di business sostenibili, tuttavia, non è prerogativa delle sole grandi aziende: anche le realtà di piccole e medie dimensioni possono intraprendere percorsi virtuosi, purché si individuino soluzioni organizzative proporzionate.

Un primo approccio consiste nella creazione di figure ibride, come il Responsabile Qualità & Sostenibilità o il Responsabile Sostenibilità & Sicurezza, che presidino contemporaneamente più ambiti sinergici. Questa soluzione, a fronte di minori costi organizzativi, presenta anche potenziali dilemmi di priorità: non è raro che le esigenze di compliance sulla qualità o la sicurezza “schiaccino” gli obiettivi di lungo periodo sul fronte ESG. Per ridurre tale rischio, è utile stabilire obiettivi chiari e monitorati a livello di direzione.

In molte PMI, l’imprenditore o l’amministratore unico finiscono per diventare il principale sponsor della sostenibilità, con un coinvolgimento diretto e talvolta carismatico del personale. In questi contesti, in cui il massimo organo direttivo coincide con un gruppo ristretto di soci, è essenziale che la sostenibilità entri nell’ordine del giorno delle decisioni imprenditoriali. Se, tuttavia, esiste un unico soggetto che sostiene i progetti ESG senza deleghe operative, possono emergere prevedibili criticità di governance per mancanza di regole o competenze adeguate nelle funzioni operative.

Un’ulteriore opzione, spesso adottata in fase iniziale, è quella di coinvolgere consulenti esterni che mettono a disposizione know-how specialistico e supporto metodologico per impostare correttamente i processi di rendicontazione e mappare i rischi e le opportunità ESG. Il supporto consulenziale può risultare determinante anche per sviluppare percorsi di coaching e formazione delle risorse umane. Attraverso sessioni formative mirate, workshop e affiancamento operativo, i consulenti possono supportare il personale nell’acquisizione di competenze ESG fondamentali, facilitando l’internalizzazione graduale delle pratiche di sostenibilità.

Nelle imprese che presentano maggiore complessità e dimensione, la sostenibilità si sviluppa come una vera e propria funzione interna, caratterizzata da competenze multidisciplinari. Spesso viene istituito un Sustainability Department, guidato dal CSO, che svolge mansioni di ricerca, monitoraggio, progettazione e reporting, avvalendosi di tecnici e analisti specializzati. In parallelo, a livello di vertice aziendale, assume importanza la delega specifica per le questioni ESG attribuita a uno o più componenti del Consiglio di amministrazione (amministratore/i con delega alla sostenibilità). Questo permette di rafforzare il raccordo con il top management e garantire una supervisione diretta sui progetti chiave.

Un altro elemento significativo per le imprese di maggiori dimensioni è l’istituzione di task force tematiche focalizzate su aspetti particolari della sostenibilità (ad esempio, la riduzione degli sprechi di materie prime, l’inclusione e la diversità, l’economia circolare, etc.). Questi gruppi di lavoro, composti da persone che operano nei diversi reparti, consentono di approfondire tematiche verticali e di progettare interventi mirati, poi sottoposti all’approvazione dell’organo amministrativo o del comitato di sostenibilità.

Sia nelle PMI sia nelle grandi imprese, l’efficacia delle azioni ESG è strettamente condizionata dalla partecipazione “trasversale” delle varie funzioni aziendali. Il CFO, ad esempio, gioca un ruolo chiave non solo nel reperimento delle risorse finanziarie per gli investimenti ESG, ma anche nella definizione di metriche e indicatori (Key Performance Indicators, o KPI) che rendano confrontabile il valore generato dai progetti di sostenibilità rispetto ad altre aree di business. Per gestire le informazioni in modo integrato, alcune società adottano piattaforme di Enterprise Performance Management (EPM) arricchite di moduli ESG, che consentono di aggregare dati finanziari e non finanziari e di restituire cruscotti dinamici.

La funzione HR (Human Resources) diventa strategica per promuovere politiche di diversità e inclusione, per gestire programmi di formazione e per ancorare gli obiettivi ESG ai sistemi di valutazione e incentivazione del personale (MbO). Esistono già software di Human Capital Management (HCM) che integrano moduli per misurare l’engagement dei dipendenti su tematiche sociali o per tracciare la partecipazione a corsi di formazione sulla sostenibilità.

Anche la funzione Legale e Compliance è determinante nell’interpretare correttamente gli obblighi normativi, nell’evitare rischi di sanzioni e nell’allineare le procedure interne agli standard di riferimento. Per rispondere alle normative ambientali e sociali in continuo divenire, alcune imprese hanno adottato framework di controllo come TCFD (Task Force on Climate-related Financial Disclosures) o si sono dotate di software di gestione documentale capaci di mappare leggi, regolamenti e standard applicabili.

La funzione Ricerca e Sviluppo (R&D) assume un ruolo cruciale nell’orientare l’azienda verso modelli produttivi basati sui principi dell’economia circolare. Questo approccio si traduce in molteplici applicazioni: progettazione di prodotti modulari e riparabili, utilizzo di materiali riciclati o biodegradabili, riduzione della dipendenza da materie prime critiche, implementazione di tecnologie per l’allungamento del ciclo di vita dei prodotti e sviluppo di modelli di business innovativi, come il leasing ed il passaggio dalla vendita di beni alla fornitura di servizi. L’integrazione della strategia ESG nella funzione R&D risulta di cruciale importanza per trasformare la sostenibilità in un fattore di competitività, differenziando l’impresa sul mercato e rispondendo in modo proattivo alle nuove normative ambientali e alle aspettative dei consumatori.

La funzione Marketing e Comunicazione gioca un ruolo strategico sin dalle fasi iniziali del processo, contribuendo all’individuazione dei bisogni dei consumatori, prima ancora che nasca l’idea di prodotto. Questa attività risulta fondamentale per orientare lo sviluppo di soluzioni sostenibili in modo realmente allineato alle esigenze del mercato. Il marketing, in questo senso, diventa un elemento chiave nella creazione di valore attraverso l’innovazione sostenibile.

Parallelamente, la comunicazione deve essere chiara e coerente, prevenendo il rischio di dichiarazioni edulcorate, fuorvianti o non veritiere sulla sostenibilità (greenwashing). La fiducia degli stakeholder e del mercato, infatti, si costruisce anche grazie a un linguaggio chiaro e basato su dati verificabili.

Oltre ai ruoli formali, un altro elemento chiave è rappresentato dagli strumenti di governance, che garantiscono l’integrazione della sostenibilità nelle decisioni aziendali e il coinvolgimento trasversale delle funzioni. Se a livello di board la creazione di un Comitato di Sostenibilità favorisce la definizione di priorità ed il dialogo con il top management, a livelli più operativi, un Comitato Interfunzionale ESG (o gruppo di lavoro tematico) può essere utile per coordinare le attività delle diverse funzioni aziendali, definire obiettivi condivisi, verificare i progressi e facilitare l’allineamento delle strategie ESG con le priorità aziendali. Alcune aziende adottano specifici strumenti di project management impostando progetti dedicati alla sostenibilità, con responsabilità definite, milestones e scadenze di avanzamento.

Nelle realtà più grandi, lo Steering Committee per i progetti strategici di sostenibilità rappresenta un ulteriore livello di governance. Riunisce top manager, rappresentanti del CdA, esperti tecnici e, in certi casi, stakeholder esterni come autorità locali, università o ONG, se il progetto ha una forte valenza territoriale. I software di stakeholder engagement (o moduli dedicati presenti nei software di CRM avanzati) favoriscono un confronto strutturato con le diverse parti interessate, raccogliendo feedback e aggiornamenti in tempo reale. Questo riduce il rischio di conflitti o incomprensioni durante l’esecuzione di progetti socialmente e ambientalmente rilevanti.

Uno dei dilemmi più comuni riguarda la possibile tensione tra obiettivi finanziari di breve periodo e investimenti in sostenibilità, spesso percepiti come di medio-lungo periodo. Alcuni CFO potrebbero temere ripercussioni sulle marginalità o sugli indicatori di bilancio, mentre i CSO spingono per interventi più radicali e innovativi. In queste circostanze, tornano utili metodologie come la cost–benefit analysis che tenga conto di “esternalità” ambientali e sociali, o modelli di scenario planning che valutino possibili impatti regolamentari e tecnologici futuri. Inoltre, strumenti di misurazione e monitoraggio delle performance ESG, come il sustainability balanced scorecard, possono facilitare il dialogo tra le funzioni finanziarie e di sostenibilità, aiutando a tradurre gli investimenti ESG in risultati misurabili e in valore economico concreto.

Un ulteriore dilemma emerge quando la funzione sostenibilità non dispone di una leva gerarchica sufficiente a imporre cambiamenti reali. Il comitato interfunzionale può generare ottime idee, ma se queste non vengono tradotte in progetti con budget dedicati e “sponsor” adeguati, si rischia di restare nella sfera delle intenzioni. Alcune grandi imprese risolvono il problema rendendo il CSO o il responsabile ESG un riporto diretto del CEO o, in alternativa, allineando i Key Risk Indicators (KRI) di sostenibilità con quelli gestiti dal Chief Risk Officer. Ciò consente di agganciare la sostenibilità anche agli strumenti di monitoraggio del rischio, attirando l’attenzione del board.

L’adozione di figure specifiche e comitati formali potrebbero risultare misure necessarie ma non sufficienti a radicare la cultura della sostenibilità in azienda. Occorre affiancare percorsi formativi e iniziative di sensibilizzazione, affinché ogni collaboratore comprenda il valore e il significato delle politiche ESG. Numerose imprese organizzano veri e propri training hub online, dove il personale può fruire di moduli e-learning su temi quali la carbon footprint, l’economia circolare, la diversity & inclusion. Tali piattaforme di formazione possono essere integrate con strumenti di gamification, in modo da rendere l’apprendimento più coinvolgente.

Un aspetto cruciale, spesso trascurato, è la consapevolezza e la condivisione del modello di governance adottato. Se i dipendenti non conoscono l’esistenza di un comitato o di un responsabile sostenibilità, o se non sanno come segnalare criticità legate all’impatto ambientale o sociale, la struttura formale perde gran parte della sua efficacia. Per questa ragione, si è spesso rivelato utile prevedere momenti di condivisione interna dei risultati e promuovere iniziative di change management che sostengono l’evoluzione culturale: town hall, newsletter ESG, intranet con bacheche dedicate e, in alcuni casi, sessioni di brainstorming aperte a tutti i livelli.

Le organizzazioni più avanzate sono quelle in cui la sostenibilità smette di essere un capitolo a sé stante per fondersi con la strategia d’impresa. In tali contesti, la figura del CSO interagisce costantemente con il CEO e con i vertici delle varie funzioni, contribuendo a definire il posizionamento competitivo e la value proposition. La sostenibilità viene dunque considerata un motore di innovazione e di crescita: si sviluppano prodotti ecologici o servizi a basso impatto, si sperimentano modelli di economia circolare che coinvolgono fornitori e consumatori, si attivano partnership con istituzioni e organizzazioni non profit per intercettare nuove opportunità. Questa visione è supportata da metodologie come la Life Cycle Assessment (LCA), la Materiality Analysis (o analisi di materialità) per individuare i temi ESG più rilevanti, e i Science-Based Targets per definire obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con gli accordi internazionali.

Per le realtà di grandi dimensioni, l’allineamento tra sostenibilità e strategia si traduce in un piano di sostenibilità integrato nel business plan pluriennale, con l’identificazione di KPI chiave, scadenze e budget dedicati. Le PMI, invece, possono puntare su una maggiore agilità e sull’innovazione di nicchia, differenziandosi dai concorrenti grazie a proposte di valore che incorporino elementi di responsabilità sociale e ambientale. In entrambi i casi, un sistema organizzativo solido e ben strutturato (comitati, figure manageriali, formazione interna) è l’ingrediente essenziale per non limitarsi alle dichiarazioni d’intenti.

Il panorama regolamentare, economico e sociale degli ultimi anni ha fatto emergere con chiarezza l’importanza della governance della sostenibilità. Le imprese di ogni dimensione sono chiamate, innanzitutto, a compiere un salto organizzativo: introdurre figure specializzate come il Chief Sustainability Officer, delegare in modo chiaro le responsabilità ESG a un membro del board, creare comitati e gruppi di lavoro che assicurino il coordinamento interfunzionale, avviare percorsi di formazione diffusa e di coaching per il top management, coinvolgere attivamente gli stakeholder.

Nelle PMI, l’ideale è un approccio pragmatico e modulare, caratterizzato dalla possibile concentrazione delle responsabilità sostenibili in ruoli ibridi e dal frequente ricorso a reti esterne e consulenze specialistiche. Nelle grandi imprese, la sfida si sposta sull’armonizzazione di strutture più complesse (dipartimenti dedicati, task force tematiche, comitati di supervisione) e sulla necessità di far dialogare i vertici con i livelli operativi, mantenendo chiari gli obiettivi di lungo periodo. In ogni caso, non basta creare organigrammi formali: è necessario promuovere un cambiamento culturale e organizzativo, valorizzando la condivisione di competenze, la trasparenza e l’impegno personale a ogni livello.

La sostenibilità, infine, non è un traguardo statico: evolverà di pari passo con le normative, le tecnologie, il contesto economico e le aspettative sociali. Proprio per questo, occorre dotare l’impresa di strutture adattive, aperte al dialogo con l’esterno e alla sperimentazione continua. L’obiettivo di fondo rimane quello di radicare il principio secondo cui la crescita economica non è in contrasto con la responsabilità sociale e ambientale, ma anzi può rafforzarsi attraverso di essa, dando vita a un circolo virtuoso di innovazione, reputazione positiva e competitività sostenibile.



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